venerdì 10 febbraio 2012
"Quando l'azienda viene prima della famiglia"
di Chiara Beria Di Argentine
Suo nonno Filippo Sassoli de Bianchi, in piena crisi del 1929, mentre quasi tutti i suoi concorrenti fallivano, riuscì a salvare la Buton, rinomata azienda di liquori bolognese fondata dalla sua famiglia nel 1820, mettendo in vendita tutte le sue proprietà; compresa la casa in cui viveva con i 12 figli. Altro che soldi all'estero&guadagni d'oro.
Quel nobile gesto suo nipote Lorenzo non l'ha mai dimenticato e in questi difficili mesi per il sistema Italia ha dimostrato di essere il degno erede di tanto nonno. Presidente del gruppo Valsoia (in Borsa dal 2006, 60 milioni di euro di fatturato) Lorenzo Sassoli mentre famosi marchi del Belpaese finivano in mani straniere ha sborsato agli olandesi di Unilever 25,2 milioni di euro per riportare in Italia le marmellate e i pelati Santa Rosa.
«Molte aziende chiudono, noi raddoppiamo», spiega l'imprenditore.
«Scioperi, cortei, presidi dei Tir? Sono manifestazioni di un generale malumore che non riescono a rendermi pessimista. Siamo in una fase storica incredibilmente dinamica che sarà ricordata per i suoi profondi cambiamenti. Non solo. E' anche un momento di grandi opportunità a patto di aver voglia di rischiare. E a me piace vivere in trincea».
Bolognese ma nato 59 anni fa a Parigi, notoriamente d'idee progressiste (è buon amico e compagno di corse di Romano Prodi), raffinato e appassionato intenditore d'arte (anni fa è stato tra i primi a scoprire in Cina artisti ora assai contesi e famosi) Sassoli che da 5 anni guida l'Upa (Utenti pubblicità associati) è, nel mondo delle imprese, un tipo assai singolare. Intanto, pur discendendo da una grande dinastia industriale, si dichiara imprenditore di prima generazione.
«Da giovane», racconta, «avevo letto i “Buddenbrook" trovando molte analogie con la china che aveva preso la mia famiglia. Decisi di scegliermi una strada autonoma; volevo avere una vita responsabile senza dover rispondere ad altri che a me stesso e alla mia preparazione».
Laureato in medicina, specializzato in neurologia, lavorando tra Stanford e Bologna, Sassoli ha vissuto la fine dopo 170 anni della gloriosa Buton (vicissitudini e litigi tra i familiari-soci portarono alla vendita alla multinazionale Grand Metropolitan) come un'altra, preziosa lezione di vita. «Ansia e depressione sono, del resto, i motori del mondo», sorride. Lasciati i suoi pazienti con i soldi - 1 miliardo e mezzo di lire - intascati vendendo le sue azioni avviò una piccola azienda nel settore, 20 anni fa nuovo in Italia, di alimenti per salutisti. «Puntando sull'innovazione gli inizi sono difficili ma i risultati arrivano», sostiene mister Valsoia.
Poi, si autoanalizza: «Ricominciare da zero mi ha aiutato a liberarmi di tutte le scorie che avevano portato alla decadenza della Buton. Ho cercato di non rifare gli errori del passato. La scelta di fondo? L'azienda deve venire prima della famiglia. “Azienda ricca, famiglie povere”, per usare una nota frase di Maurizio Sella. Quindi, per esempio, non infarcire l'azienda di familiari; puntare sulla meritocrazia e reinvestire ogni anno il 50% degli utili. E ancora. Niente stipendi d'oro: se c'è troppa differenza tra lo stipendio più basso e quello più alto si creano malumori e tensioni. Oggi guadagno 203 mila euro lordi compresi bonus e benefit». Etica della responsabilità-trasparenza- innovazione è la terapia che Lorenzo Sassoli, l'imprenditore - neurologo, prescrive per curare l'Italia sotto stress. «La mia diagnosi è tutt'altro che infausta. Gli italiani - lo percepisco tutti i giorni nel mio lavoro - anche se colpiti duramente dalla crisi non sono stati a compiangersi e hanno reagito rimboccandosi le maniche. Questo è un Paese reattivo, per niente rassegnato. Ma i segnali positivi vengono più dal basso che dall'alto. La classe dirigente - cosa avvenuta molto poco dal dopoguerra - deve mettere l'interesse del Paese davanti al proprio. Se non si cambia è difficile cambiare le cose». (La Stampa, 28 gennaio 2012)
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