sabato 3 marzo 2012

Ludwig “Luz” Long. Chi ha ucciso il campione.

Foto GettyImages
Ludwig Long, a sinistra, con Jesse Owens ai Giochi di Berlino 1936


Chi ha ucciso il campione
di Gianluca Di Feo

Su come sia morto manca la certezza, perché pochissimi degli uomini che combatterono al suo fianco sono sopravvissuti: gli altri furono uccisi in combattimento o massacrati senza pietà dopo la resa dai soldati americani il 14 luglio 1943. E anche il suo nome è incluso in quell’elenco di italiani e tedeschi dati per dispersi ma in gran parte ammazzati a freddo dai fanti statunitensi, che avevano eseguito alla lettera l’appello del generale Patton a «non fare prigionieri». Così per la prima volta comincia a chiarirsi il mistero sulla fine di Ludwig “Luz” Long, l’atleta tedesco diventato il simbolo universale della sportività.
Nelle Olimpiadi di Berlino del 1936 Long, biondo e ariano, sfidò il nero Jesse Owens nel salto in lungo. Il suo rivale aveva già fallito due salti: un altro errore e l’oro sarebbe stato certo. Invece il tedesco andò dall’avversario e gli suggerì di anticipare lo stacco: consiglio accolto dall’americano con una prestazione da primato. Davanti allo sguardo infuriato di Adolf Hiltler, il saltatore biondo fu il primo ad abbracciare il vincitore e congratularsi con lui: immagini che ancora oggi in tutto il mondo incarnano lo spirito di De Coubertin. Luz e Jesse diventarono amici ma il tedesco pagò a caro prezzo il suo fair play: allo scoppio della guerra fu mandato al fronte senza riguardi e morì in Sicilia.

Le notizie sulla sua fine erano sempre state vaghe, nonostante gli onori tributati dal Comitato Olimpico Internazionale anche in occasione dei giochi del 2000. Adesso gli studi di Andrea Augello, senatore del Pdl ed ex sottosegretario di Palazzo Chigi, aprono un primo spiraglio sulla sorte dell’atleta. Ormai da cinque anni il parlamentare si dedica alla ricostruzione storica dei massacri di prigionieri italiani nel luglio 1943: soldati che, contrariamente ai luoghi comuni sullo sbarco in Sicilia, difesero strenuamente il fronte nella zona di Gela mettendo in crisi gli americani. Adesso con la nuova edizione di “Uccidete gli italiani”, che Mursia manderà nelle librerie la prossima settimana, l’opera è praticamente completa.
Con risultati sorprendenti. Incrociando resoconti e documenti inediti, il senatore ha individuato i nomi di 68 italiani e quattro tedeschi ammazzati dopo la resa.
Di alcuni ha recuperato anche le foto: ventenni che scherzano duellando con le baionette. Quei ragazzi fino all’ultimo hanno difeso il piccolo aeroporto di San Pietro, poco lontano da Caltagirone, facendo perdere la testa ai reparti d’assalto di Patton. Erano avieri palermitani e romani, mitraglieri bresciani e toscani: tra loro anche Sergio Stauble, un asso dei biplani da caccia. Dopo avere alzato le mani, furono lasciati in mutande, fatti marciare senza scarpe sotto il sole, poi messi in fila e abbattuti a raffiche di mitra.
Il caporale Long con la sua compagnia dell’antiaerea germanica ha combattuto al fianco degli italiani, bloccando l’avanzata statunitense. E dopo la resa almeno quattro dei tedeschi sono stati fucilati assieme agli italiani. Secondo un testimone Long sarebbe stato ferito prima, durante la battaglia: il commilitone avrebbe tentato di caricarselo sulle spallle e poi lo avrebbe abbandonato ancora vivo. Come è morto? Il corpo è stato sepolto assieme alle vittime dei massacri. E Giuseppe Giannola, l’unico superstite degli eccidi ancora in vita, fu colpito tre volte dopo essere stato preso prigioniero: nonostante fosse già ferito, gli spararono al petto nel tentativo di finirlo. Giannola denunciò i crimini degli americani nel 1947: per oltre mezzo secolo nessuno gli ha creduto. Ora spera che almeno sia reso onore alla memoria dei suoi compagni, con un cippo che ricordi i “fantasmi di San Pietro” rimasti senza nome dal giorno della strage. (l'Espresso, 8 marzo 2012)

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