“Da Monti balle spaziali e terrorismo facile”. - Renato Brunetta, Il Mattino, 9 dicembre 2012
“Un anno di Monti ci ha regalato un milione di disoccupati in più, una riforma delle pensioni che ha creato gli esodati, una riforma del mercato del lavoro inutile; il potere d’acquisto e la produzione industriale sono a picco. Siamo sull’orlo del baratro”. - Renato Brunetta, L’Infedele, La7, 10 dicembre 2012
“Non ho i soldi per pagare la terza rata dell’Imu: Ho dovuto chiederli alle banche”. - Renato Brunetta, Tg24, dicembre 2012
“Monti è ok, la sua agenda è la nostra”. - Renato Brunetta, Twitter, 16 dicembre 2016
Si sa, le leve corte si spezzano ma non si piegano.
martedì 18 dicembre 2012
Si spezzano ma non si piegano
Manca l'acciarino
Questi continuano con il teatrino, tutti ad assistere immobili e con le bocche aperte. Qualcuno comincia ad intuire qualcosa ma nel frattempo loro giocano a Bartali e Coppi, con uno che tira la volata all'altro. Anche la Gabanelli pare che voglia spendere il credito conquistato negli anni per sistemare dei sassolini, far fuori Di Pietro ed agevolare la vendita dei gioielli di famiglia a prezzi di saldo.
sabato 17 novembre 2012
lunedì 29 ottobre 2012
domenica 28 ottobre 2012
"Il Cavaliere a Palazzo Chigi ci ha rimesso 14 miliardi"
Parola di Franco Bechis, oggi, dalle pagine di Libero (si fa per dire).
Il titolo è adatto per i lettori tipici di quel giornale (!?), definiti dallo stesso Cavaliere "scolari delle medie, di quelli poco svegli".
L'articolo, infatti, dice tutt'altro.
Chi sa come stanno le cose ne ricava che senza Palazzo Chigi oggi avrebbe come abitazione la parte di suolo sottostante un ponte.
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sabato 20 ottobre 2012
Le ha dato della "signora".
Questo tizio, è l'attuale prefetto (minuscolo, se non gli dispiace troppo).
Roba da "prurito alle mani".
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venerdì 7 settembre 2012
Bollettino medico
E' ricorso alle cure dei sanitari “a causa di un transitorio disturbo del circolo cerebrale, che ha comportato difficoltà di equilibrio”. (I medici che hanno preso in cura G. Ferrara)
sabato 1 settembre 2012
1927 - 2012 Carlo Maria Martini
L’ultima intervista
Padre Georg Sporschill, il confratello gesuita che lo intervistò in Conversazioni notturne a Gerusalemme, e Federica Radice hanno incontrato Martini l’8 agosto: «Una sorta di testamento spirituale. Il cardinale Martini ha letto e approvato il testo».
Come vede lei la situazione della Chiesa?
«La Chiesa è stanca, nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l'apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? (...) Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli dell’istituzione».
Chi può aiutare la Chiesa oggi?
«Padre Karl Rahner usava volentieri l’immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vedo nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell’amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali.
Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque».
venerdì 31 agosto 2012
Lunedì tutti malati
Numero medio annuo delle giornate di malattia per ciascun lavoratore, per settore, territorio e genere, anno 2011: cliccare per ingrandire
di Corrado Giustiniani
Scettici sullo stress da weekend? E invece è vero: il giorno in cui gli italiani si ammalano più di frequente è il lunedì.
Convinti che nel privato si facciano meno assenze? Falso: i giorni passati a casa per malattia sono in media 17 l’anno per chi lavora in ditta, un giorno abbondante in meno per i dipendenti pubblici. E la regione con la peggior salute collettiva? È la Calabria, visto che lì i dipendenti privati si ammalano per 24 giorni e mezzo a testa e i pubblici sfiorano i 20 giorni. Un record.
Queste e molte altre informazioni ancora sono il risultato del nuovo sistema di notifica via computer all’Inps dei certificati malattia. «Siamo l’unico paese d’Europa che ha la teletrasmissione dei dati di malattia e che accentra tutte le informazioni presso un unico Istituto», dice orgoglioso il presidente Antonio Mastrapasqua. È un’autentica rivoluzione quella partita con gli 11 milioni e 714 mila certificati medici trasmessi nel 2011 per il settore privato e con i 4 milioni e 705 mila giunti per il comparto pubblico: «La teletrasmissione», spiega Mastrapasqua, «fa risparmiare tempo e denaro e consente di contrastare le finte malattie. Ma ha anche un ruolo di prevenzione, perché fotografa lo scenario della salute sul posto di lavoro, la ripetitività di certe affezioni per tipologia di azienda e per zona geografica. Il caso dell’Ilva oggi, e tanti altri in passato, ci ricordano come tutto ciò sia di vitale importanza». Per questo il presidente non maschera la sua delusione: «Quello che stupisce è che nessuno fino ad oggi ci abbia ancora interpellato per studiare questa straordinaria messe di informazioni. Non il ministero della Salute, non le Regioni che quella competenza hanno come primaria, non le organizzazioni degli imprenditori, come Confindustria e Confcommercio, non chi si occupa di medicina del lavoro».
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mercoledì 8 agosto 2012
Chi ha pagato il conto dell’unità tedesca?
Cliccare per ingrandire
BERLINO — Era il 1˚ luglio 1990. Helmut Kohl andò in tv e promise ai tedeschi: «Con gli sforzi riusciremo a trasformare il Meclemburgo-Pomerania, la Sassonia-Anhalt, il Brandeburgo, la Sassonia e la Turingia di nuovo in paesaggi fioriti, in cui converrà vivere e lavorare». I cinque Länder dell’Est e i suoi 16 milioni di abitanti si erano appena legati, in unione monetaria, a quelli dell’Ovest. Di lì a tre mesi, il 3 ottobre 1990, la Germania si ritrovò, anche politicamente, riunificata. Dietro quei «paesaggi fioriti», Kohl mise tutta la sua autorità. E quanto questa decisione — politica, come lui stesso rivendicò— costò cara, ancora oggi si dibatte. Fu Kohl che sfidò la Bundesbank e impose, tra il potentissimo marco e la moneta dell’Est che veniva scambiata al mercato nero 10 a 1, la parità.
«Eine Mark ist eine Mark». E se la frase (pare) non la pronunciò mai, le conseguenze furono colossali. Non possiamo, disse Kohl, condannare i cittadini dell’Est alla povertà e all’umiliazione.
Il capo della Buba, Karl Otto Pöhl — che voleva un cambio 4 a 1 — si dimise.
Il resto arrivò a catena: le fabbriche dell’Est (la regola del 1 a 1 valeva per gli stipendi e le pensioni, per i depositi il cambio era di 2 a 1) finirono fuori mercato, e fallirono. Ci furono effetti comici: nel 1989, l’International Statistical Yearbook indicava per la Germania dell’Est un reddito superiore (10.400) a quello dell’Ovest (10.050 dollari).
Al boom iniziale (crescita del +5,7 nel 1990 e +5,1% nel 1991) seguirono anni di stagnazione. Il debito nazionale passò dal 43% dell’89 al 53% del ’94. I costi esplosero, la riunificazione è costata ai tedeschi 1.400 miliardi. Ma la scelta di Kohl, quel cambio 1 a 1, non fu mai rinnegata, e ancora adesso viene vista come la lezione ultima del cancelliere: la politica, e alcuni ideali che può perseguire (la ricomposizione dell’identità tedesca lo fu), vengono prima dell’economia.
Pagò solo la Germania? Certamente no. La Bundesbank contenne la grande immissione di nuova moneta con tassi alti (attorno al 10% nel ’93), scongiurando l’inflazione. Ma come disse il francese Hubert Védrine, consigliere di Mitterrand: «A che serve la bomba atomica, se i tedeschi hanno il Deutsche Mark?». E infatti, in quell’ economia pre-euro, ma retta dal meccanismo dello Sme, i rialzi dei tassi decisi a Francoforte si riverberarono quasi automaticamente sulle altre monete, cosa che si tradusse in recessione per molte economie europee (Germania inclusa).
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venerdì 3 agosto 2012
Sudafrica: nero, bianco ed oro
Londra 2012: il 4 senza pesi leggeri del Sudafrica vince l’oro ed ecco lo storico abbraccio tra il bianco Smith e il nero Ndlovu.
L’Iran, re Bibi e il “popolo eterno” di Israele
di David Grossman
ECCO un possibile scenario:
Israele attaccherà l’Iran contrariamente alla ferma presa di posizione del presidente Obama che quasi supplica di lasciare questa incombenza agli Stati Uniti d’America. E questo perché? Perché Benjamin Netanyahu ha una linea di pensiero e una visione storica secondo le quali — riassumendo a brevi linee — Israele è il “popolo eterno” mentre gli Stati Uniti, con tutto il rispetto, sono una specie di Assiria o di Babilonia, di Grecia o di Roma dei giorni nostri. Vale a dire: noi siamo per sempre, destinati a rimanere, mentre loro, nonostante tutto il potere che possiedono, sono momentanei, transitori, motivati da considerazioni politiche ed economiche limitate ed immediate, preoccupati delle ripercussioni che un eventuale attacco potrebbe avere sul prezzo del petrolio e sui risultati elettorali. Noi invece sussistiamo nella sfera dell’“Israele eterno” e portiamo in noi una memoria storica in cui balenano miracoli e imprese di salvezza che vanno oltre la logica e i limiti della realtà. Il loro presidente è “un’anima candida” che crede che i nemici ragionino in maniera razionale come lui mentre noi, già da quattromila anni, ci troviamo ad affrontare le forze più cruente e gli istinti umani più incontrollabili e oscuri della storia e sappiamo bene come comportarci per sopravvivere in queste zone d’ombra. C’è chi si sentirebbe in ansia dinanzi a una simile descrizione ma non è da escludere che il primo ministro la ritenga appropriata e persino elogiativa nei suoi confronti. Il capo del governo gode, come si sa, del supporto di un’ampia coalizione e non deve fare i conti con una forte opposizione. In un certo senso agisce come un leader unico – “re Bibi”, l’ha definito la rivista Time– e ciò significa che nel momento in cui Netanyahu dovrà prendere una decisione cruciale, il futuro e il destino della popolazione israeliana dipenderanno più che altro dalla sua visione del mondo estremista, inflessibile e radicata.
ECCO un possibile scenario:
Israele attaccherà l’Iran contrariamente alla ferma presa di posizione del presidente Obama che quasi supplica di lasciare questa incombenza agli Stati Uniti d’America. E questo perché? Perché Benjamin Netanyahu ha una linea di pensiero e una visione storica secondo le quali — riassumendo a brevi linee — Israele è il “popolo eterno” mentre gli Stati Uniti, con tutto il rispetto, sono una specie di Assiria o di Babilonia, di Grecia o di Roma dei giorni nostri. Vale a dire: noi siamo per sempre, destinati a rimanere, mentre loro, nonostante tutto il potere che possiedono, sono momentanei, transitori, motivati da considerazioni politiche ed economiche limitate ed immediate, preoccupati delle ripercussioni che un eventuale attacco potrebbe avere sul prezzo del petrolio e sui risultati elettorali. Noi invece sussistiamo nella sfera dell’“Israele eterno” e portiamo in noi una memoria storica in cui balenano miracoli e imprese di salvezza che vanno oltre la logica e i limiti della realtà. Il loro presidente è “un’anima candida” che crede che i nemici ragionino in maniera razionale come lui mentre noi, già da quattromila anni, ci troviamo ad affrontare le forze più cruente e gli istinti umani più incontrollabili e oscuri della storia e sappiamo bene come comportarci per sopravvivere in queste zone d’ombra. C’è chi si sentirebbe in ansia dinanzi a una simile descrizione ma non è da escludere che il primo ministro la ritenga appropriata e persino elogiativa nei suoi confronti. Il capo del governo gode, come si sa, del supporto di un’ampia coalizione e non deve fare i conti con una forte opposizione. In un certo senso agisce come un leader unico – “re Bibi”, l’ha definito la rivista Time– e ciò significa che nel momento in cui Netanyahu dovrà prendere una decisione cruciale, il futuro e il destino della popolazione israeliana dipenderanno più che altro dalla sua visione del mondo estremista, inflessibile e radicata.
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mercoledì 1 agosto 2012
Risparmi, il TEST dell'estate
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domenica 29 luglio 2012
Campi Flegrei Deep Drilling Project
La Repubblica, 29 luglio 2012 - Cliccare per ingrandire
«Se toccate il vulcano Napoli esplode», (Il Mattino, 6 ottobre 2010). «È meglio non “sfruculiare” il vulcano», (Rosa Russo Jervolino, 2010).
Il nuovo sindaco di Napoli Luigi De Magistris ha dato il via libera al progetto, ritenendo che non vi siano motivi d'allarme. Insorgono, però, i comitati no-trivelle.
Io se abitassi in quella zona, che nel sottosuolo nasconde una vera e propria pentola a pressione, vorrei avere il maggior numero possibile di informazioni sull'attività vulcanica in corso, evitando di chiudere gli occhi e tapparmi le orecchie in attesa di un nuovo giorno.
Comincerei, però, dall'assicurarmi quei piani di fuga che ancora oggi, incredibilmente, non sono stati realizzati. Solo dopo andrei a "sfruculiare" la bestia per capirne le intenzioni.
«Se toccate il vulcano Napoli esplode», (Il Mattino, 6 ottobre 2010). «È meglio non “sfruculiare” il vulcano», (Rosa Russo Jervolino, 2010).
Il nuovo sindaco di Napoli Luigi De Magistris ha dato il via libera al progetto, ritenendo che non vi siano motivi d'allarme. Insorgono, però, i comitati no-trivelle.
Io se abitassi in quella zona, che nel sottosuolo nasconde una vera e propria pentola a pressione, vorrei avere il maggior numero possibile di informazioni sull'attività vulcanica in corso, evitando di chiudere gli occhi e tapparmi le orecchie in attesa di un nuovo giorno.
Comincerei, però, dall'assicurarmi quei piani di fuga che ancora oggi, incredibilmente, non sono stati realizzati. Solo dopo andrei a "sfruculiare" la bestia per capirne le intenzioni.
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venerdì 27 luglio 2012
S_Pain
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mercoledì 25 luglio 2012
Disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo di suolo
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Ogni giorno in Italia si cementificano 100 ettari di suolo. Il Ministro Mario Catania ha presentato al Parlamento un Disegno di Legge che dovrebbe limitare il fenomeno: l’ultimo articolo del testo propone di abolire l’uso degli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente dei Comuni. Non si potrà più fare "cassa" distruggendo per sempre le terre fertili.
Passerà?
lunedì 23 luglio 2012
“Con il solo rigore i rischi aumentano”
di Eugenio Occorsio (La Repubblica)
ROMA — «La parola d’ordine è solidarietà. Bisogna dare ai Paesi più indebitati, Italia, Spagna, Grecia, la possibilità di rinegoziare, allungare, rimodulare, i debiti. Ovviamente senza interrompere il corso delle riforme, ma senza forzature. Non c’è altra strada. Altro che fiscal compact. Con il rigore non si va avanti». James Galbraith, 60 anni, docente all’Università del Texas, ha un ruolo di primo piano fra gli economisti liberal americani così come lo aveva il padre, John Kenneth Galbraith, esegeta della crisi del ’29, organizzatore del piano Marshall, consigliere di Kennedy.
Anche Galbraith junior conosce l’Europa e ne interpreta i machiavellismi con arguzia: «Non sarei rassicurato dalle affermazioni di Draghi. Quando un banchiere centrale sente il bisogno di fare annunci così decisi, lo fa perché la situazione è drammatica».
Perché si è arrivati fin qui?
«Per incapacità o cattiva volontà, temo tutte e due. La chiave è in Germania. Ci sono forti gruppi interni, politici e finanziari, che l’euro l’hanno maldigerito e non perdono occasione per ostacolarlo. E poi ce ne sono altri, è il vero guaio, molto potenti, ai quali va benissimo una situazione di incertezza come questa. Pensate agli esportatori tedeschi. O alle banche: quando gli capiterà un altro periodo di tassi così bassi e nel contempo così alti in Paesi “fratelli”, con le possibilità di arricchirsi che ciò comporta? C’è pure, sotteso a tutto questo, un malinteso orgoglio tedesco per essere arrivati al vertice, aver riassorbito la Ddr, aver conquistato la leadership. Senza troppa voglia di dividerne i frutti».
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domenica 22 luglio 2012
IL FUTURO sarà verticale
Rendering di “Archipelago 21”, i grattacieli progettati da Libeskind a Seul, in Corea.
Costruire sempre più in alto.
Per consumare meno terreno e far spostare di meno le persone. La sfida hi-tech urbana del XXI secolo.
di Alessandra Viola (L'Espresso)
Grattacieli come ghiaccioli, come alberi, perfino come discariche. C’è di che farsi girare la testa, a guardare i progetti hi-tech che gli architetti di tutto il mondo hanno sfornato negli ultimi mesi. L’ultima occasione è la Skyscraper competition, la sfida per il grattacielo più innovativo.
Quest’anno l’idea vincente (ma per ora è solo una proposta accademica) si chiama Himalaya Water Tower e viene dalla Cina: immagina la costruzione di edifici alti ottocento metri addirittura sull’Himalaya per raccogliere acqua durante la stagione delle piogge purificandola e surgelandola in modo da poterla ridistribuire a valle nei periodi di siccità (sempre più severi a causa dei cambiamenti climatici). Ogni Water Tower si compone di quattro parti e somiglia a una pianta gigante, sorretta da sei tentacoli portanti ricoperti da un microfilm di cellule vegetali, che raccolgono l’acqua piovana e la trasportano verso l’alto. La parte superiore di ogni torre sarebbe composta da quattro cilindri dove l’acqua viene conservata sotto forma di ghiaccio e tra questa e la parte inferiore si trova una zona intermedia che ospita la tecnologia utile per la purificazione e il surgelamento.
Tra i sogni più arditi del 2012 c’è anche Monument to Civilization, grattacielo-discarica in cui si potrebbero raccogliere tutti i rifiuti cittadini per produrre biogas tramite un impianto di digestione anaerobica riprocessando in più le acque reflue, ma anche per elevare un monito alla civiltà dei consumi.
Ogni grattacielo, di altezza variabile a seconda della quantità di rifiuti prodotti, rappresenterebbe (all’inverso) il livello di civiltà della città in cui sorge: per fare un esempio, a New York la spazzatura prodotta in un anno eleverebbe una torre alta 1.300 metri.
Insomma, ce n’è per tutti i gusti e soprattutto per ogni uso possibile, partendo dalla questione cardine che ormai da anni anima i dibattiti sulla pianificazione urbanistica: com’è possibile sostenere il continuo inurbamento e l’aumento della popolazione mondiale senza costruire città mostruose, estese per centinaia di chilometri quadrati e di fatto impossibili da vivere? In molti scommettono sull’altezza: tutto andrà verticalizzato, creando più spazio per case, negozi e uffici e meno necessità di spostarsi freneticamente da una parte all’altra.
E il concetto non appartiene solo ai grattacieli “dream” ma anche a quelli già in costruzione come The Shard, il nuovo lavoro di Renzo Piano per Londra: una sorta di piccola città nella città con uffici, abitazioni, hotel, ristoranti, persino un giardino e un punto panoramico per complessivi 72 piani che verranno abitati da circa quindicimila persone.
Costruire sempre più in alto.
Per consumare meno terreno e far spostare di meno le persone. La sfida hi-tech urbana del XXI secolo.
di Alessandra Viola (L'Espresso)
Grattacieli come ghiaccioli, come alberi, perfino come discariche. C’è di che farsi girare la testa, a guardare i progetti hi-tech che gli architetti di tutto il mondo hanno sfornato negli ultimi mesi. L’ultima occasione è la Skyscraper competition, la sfida per il grattacielo più innovativo.
Quest’anno l’idea vincente (ma per ora è solo una proposta accademica) si chiama Himalaya Water Tower e viene dalla Cina: immagina la costruzione di edifici alti ottocento metri addirittura sull’Himalaya per raccogliere acqua durante la stagione delle piogge purificandola e surgelandola in modo da poterla ridistribuire a valle nei periodi di siccità (sempre più severi a causa dei cambiamenti climatici). Ogni Water Tower si compone di quattro parti e somiglia a una pianta gigante, sorretta da sei tentacoli portanti ricoperti da un microfilm di cellule vegetali, che raccolgono l’acqua piovana e la trasportano verso l’alto. La parte superiore di ogni torre sarebbe composta da quattro cilindri dove l’acqua viene conservata sotto forma di ghiaccio e tra questa e la parte inferiore si trova una zona intermedia che ospita la tecnologia utile per la purificazione e il surgelamento.
Tra i sogni più arditi del 2012 c’è anche Monument to Civilization, grattacielo-discarica in cui si potrebbero raccogliere tutti i rifiuti cittadini per produrre biogas tramite un impianto di digestione anaerobica riprocessando in più le acque reflue, ma anche per elevare un monito alla civiltà dei consumi.
Ogni grattacielo, di altezza variabile a seconda della quantità di rifiuti prodotti, rappresenterebbe (all’inverso) il livello di civiltà della città in cui sorge: per fare un esempio, a New York la spazzatura prodotta in un anno eleverebbe una torre alta 1.300 metri.
Insomma, ce n’è per tutti i gusti e soprattutto per ogni uso possibile, partendo dalla questione cardine che ormai da anni anima i dibattiti sulla pianificazione urbanistica: com’è possibile sostenere il continuo inurbamento e l’aumento della popolazione mondiale senza costruire città mostruose, estese per centinaia di chilometri quadrati e di fatto impossibili da vivere? In molti scommettono sull’altezza: tutto andrà verticalizzato, creando più spazio per case, negozi e uffici e meno necessità di spostarsi freneticamente da una parte all’altra.
E il concetto non appartiene solo ai grattacieli “dream” ma anche a quelli già in costruzione come The Shard, il nuovo lavoro di Renzo Piano per Londra: una sorta di piccola città nella città con uffici, abitazioni, hotel, ristoranti, persino un giardino e un punto panoramico per complessivi 72 piani che verranno abitati da circa quindicimila persone.
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sabato 21 luglio 2012
Ercolano, la salva l'Americano
Ercolano: vestibolo delle terme
Davanti alla fontana di Ercole, Hans, un giovanottone di Brema alto quasi due metri, scarica sulla sua testa la minerale comprata all’ingresso dell’area archeologica. «Questa fontana era stata costruita proprio per ristorare chi passava da qui» dice divertito Luca, la sua guida, davanti al faccione del figlio di Giove, che come duemila anni fa continua a guardare verso il mare ma non sputa più acqua dalla bocca. Diventerebbe una tappa forzata, in uno dei giorni più caldi degli ultimi cinquant’anni. Ercole contro Minosse, la forza contro il grande caldo che ha arroventato l’Italia. Ma che sembra non scoraggiare i turisti: a metà settimana, agli scavi di Ercolano c’è il pienone.
Più della media, che pure porta qui quasi 300 mila visitatori all’anno tra gli oltre 41 mila ettari di rovine sepolte dall’eruzione del Vesuvio in una notte d’estate del 79 dopo Cristo. «A Pompei c’è stato uno sciopero del personale e molti tour operator hanno dirottato qui i loro clienti», ci spiegano lungo il Decumano Massimo, da un anno restituito per intero alla comunità. Ma non è solo per quello. L’eruzione che ricoprì Pompei di cenere e lapilli, investì in pieno la ricca Herculaneum che sorge proprio alle pendici del Vulcano: lava e fango bollente penetrarono ovunque diventando roccia tufacea. Per questo, a differenza di buona parte dei siti archeologici nel mondo, chi visita Ercolano sa di trovare anche travi di legno e arredi originali, così come il magma li aveva ricoperti duemila anni fa. Allo stesso modo, molti edifici sono rimasti a due o più piani in altezza. Il più suggestivo è Villa dei Papiri, appartenuta al suocero di Giulio Cesare, Lucio Calpurnio Pisone, dove fu ritrovata una ricca biblioteca di quasi 2000 rotoli di papiro carbonizzati. Paul Getty, il magnate del petrolio, se ne innamorò a tal punto da farsela riprodurre, nel 1968, sulla collina di Santa Monica, in California, dove oggi ha sede il Getty Museum.
Pompei ed Ercolano, vittime gemelle del Vesuvio, adesso conoscono destini diversi. Hans e i suoi compagni di viaggio non trovano cani randagi lungo la loro passeggiata tra i resti di Hercolaneum. Niente infiltrazioni nelle domus, né crolli. Nemmeno una foto ricordo davanti alle macerie, non quelle del cataclisma ma quelle dell’incuria burocratica, che sono oggi l’ultima attrattiva di Pompei. Ci sono toilette pulite, informazioni chiare, personale cortese. Eppure appena dodici anni fa, Ercolano era in condizioni disastrose. Diverse case erano puntellate, molte strade non erano accessibili. Là dove non era riuscito il vulcano stava arrivando la miopia delle istituzioni. Cronache di un altro millennio.Perché la svolta arriva proprio nel 2000. David W. Packard, l’erede dell’impero informatico di Palo Alto, confida al suo amico archeologo Andrew Wallace-Hadrill, l’ex direttore della British School di Roma, l’interesse a finanziare la conservazione di un monumento in Italia. Non è un’idea di marketing per promuovere stampanti e software. Packard ha sessant’anni, ed era passato a occuparsi dell’azienda di famiglia dopo gli studi classici e dopo aver insegnato filologia alla Ucla, l’Università della California. Ma la passione è rimasta intatta. Attraverso la sua fondazione, la Packard Humanities Institute, digitalizza la letteratura latina e greca. E sente che è arrivato il momento di puntare sull’archeologia, il suo primo amore.
Davanti alla fontana di Ercole, Hans, un giovanottone di Brema alto quasi due metri, scarica sulla sua testa la minerale comprata all’ingresso dell’area archeologica. «Questa fontana era stata costruita proprio per ristorare chi passava da qui» dice divertito Luca, la sua guida, davanti al faccione del figlio di Giove, che come duemila anni fa continua a guardare verso il mare ma non sputa più acqua dalla bocca. Diventerebbe una tappa forzata, in uno dei giorni più caldi degli ultimi cinquant’anni. Ercole contro Minosse, la forza contro il grande caldo che ha arroventato l’Italia. Ma che sembra non scoraggiare i turisti: a metà settimana, agli scavi di Ercolano c’è il pienone.
Più della media, che pure porta qui quasi 300 mila visitatori all’anno tra gli oltre 41 mila ettari di rovine sepolte dall’eruzione del Vesuvio in una notte d’estate del 79 dopo Cristo. «A Pompei c’è stato uno sciopero del personale e molti tour operator hanno dirottato qui i loro clienti», ci spiegano lungo il Decumano Massimo, da un anno restituito per intero alla comunità. Ma non è solo per quello. L’eruzione che ricoprì Pompei di cenere e lapilli, investì in pieno la ricca Herculaneum che sorge proprio alle pendici del Vulcano: lava e fango bollente penetrarono ovunque diventando roccia tufacea. Per questo, a differenza di buona parte dei siti archeologici nel mondo, chi visita Ercolano sa di trovare anche travi di legno e arredi originali, così come il magma li aveva ricoperti duemila anni fa. Allo stesso modo, molti edifici sono rimasti a due o più piani in altezza. Il più suggestivo è Villa dei Papiri, appartenuta al suocero di Giulio Cesare, Lucio Calpurnio Pisone, dove fu ritrovata una ricca biblioteca di quasi 2000 rotoli di papiro carbonizzati. Paul Getty, il magnate del petrolio, se ne innamorò a tal punto da farsela riprodurre, nel 1968, sulla collina di Santa Monica, in California, dove oggi ha sede il Getty Museum.
Pompei ed Ercolano, vittime gemelle del Vesuvio, adesso conoscono destini diversi. Hans e i suoi compagni di viaggio non trovano cani randagi lungo la loro passeggiata tra i resti di Hercolaneum. Niente infiltrazioni nelle domus, né crolli. Nemmeno una foto ricordo davanti alle macerie, non quelle del cataclisma ma quelle dell’incuria burocratica, che sono oggi l’ultima attrattiva di Pompei. Ci sono toilette pulite, informazioni chiare, personale cortese. Eppure appena dodici anni fa, Ercolano era in condizioni disastrose. Diverse case erano puntellate, molte strade non erano accessibili. Là dove non era riuscito il vulcano stava arrivando la miopia delle istituzioni. Cronache di un altro millennio.Perché la svolta arriva proprio nel 2000. David W. Packard, l’erede dell’impero informatico di Palo Alto, confida al suo amico archeologo Andrew Wallace-Hadrill, l’ex direttore della British School di Roma, l’interesse a finanziare la conservazione di un monumento in Italia. Non è un’idea di marketing per promuovere stampanti e software. Packard ha sessant’anni, ed era passato a occuparsi dell’azienda di famiglia dopo gli studi classici e dopo aver insegnato filologia alla Ucla, l’Università della California. Ma la passione è rimasta intatta. Attraverso la sua fondazione, la Packard Humanities Institute, digitalizza la letteratura latina e greca. E sente che è arrivato il momento di puntare sull’archeologia, il suo primo amore.
venerdì 20 luglio 2012
domenica 15 luglio 2012
giovedì 12 luglio 2012
Finché morte non ci separi
Le primarie vanno a farsi benedire. Angelino dice di averlo chiesto lui a Silvio, ma c’è stata prima la risposta. (Giorgio Stracquadanio)
Il Vecchio satrapo sente di poter dare ancora qualcosa a questo Paese: il colpo di grazia. (ELLEKAPPA)
Zu Silviu
di Marco Travaglio
Non occorreva grande perspicacia per sapere con certezza che il Cainano sarebbe tornato anche ufficialmente a capo del Pdl. Bastava conoscere un po’ la sua indole, ma soprattutto guardare la faccia di Alfano e leggere le firme dei cervelloni che ne magnificavano le doti di leader, l’irresistibile ascesa, lo smarcamento da B., il programma anzi l’“agenda” per un “nuovo centrodestra ”moderno, liberale, europeo,moderato, finalmente scevro da conflitti d’interessi, e vaticinavano per il Cavaliere un ruolo da “padre nobile”. Era chiaro a tutti, fuorché ad Alfano e ai laudatores di corte, che mai, per quanto acciaccato e bollito, il Cainano avrebbe consentito che quella nullità ambulante dilapidasse quel poco che resta del suo bottino elettorale. E che, al momento buono, sarebbe tornato in prima linea. Ora il momento buono è arrivato, non certo per i finti sondaggi (QUI la prima pagina de Il Giornale) che darebbero il Pdl sotto la sua guida al 30%. Nel paese dell’amnesia gli occorreva qualche mese per far dimenticare i disastri degli ultimi 18 anni e il nome del responsabile numero uno.
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mercoledì 11 luglio 2012
350 miliardi
domenica 8 luglio 2012
"Meno studi, meglio vivi"
[...] La campagna pubblicitaria ritrae due giovani trentenni, l'uno belloccio con le braccia conserte e lo sguardo sicuro; l'altro impacciato e goffo, giacca e cravatta piuttosto scialbe. Il primo ha “un posto fisso, un ottimo reddito e vive con la sua donna”, diceva l'annuncio.
Il secondo “è laureato da sei anni, ha un lavoro precario, un reddito basso e vive con i suoi genitori”. Quale dei due preferisci? Questa era la domanda.
Non si tratta di un sito di appuntamenti ammiccanti, ma della pubblicità dei corsi di formazione permanente del consorzio Enfapi, un centro di formazione professionale di Bergamo, legato a Confindustria e finanziato dalla Regione Lombardia.
Preferisci laurearti e divenire l'ennesimo colto precario senza donna, senza reddito e senza lavoro, o divenire capo reparto in fabbrica a sedici anni e vivere “con la tua donna” già a 30, come farebbe un uomo vero? [...]
Tratto da un articolo di Francesca Coin (docente di Sociologia Università di
Tratto da un articolo di Francesca Coin (docente di Sociologia Università di
Venezia Cà Foscari) per Il Fatto Quotidiano
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Immigrati e capolarato: i numeri
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Stranieri entrati in Italia per motivi di lavoro
2006: 520.000
2007: 170.000
2008: 150.000
2011: 98.000
sabato 7 luglio 2012
Scuola "Diaz" 2001: e loro?
Gianni De Gennaro era capo della Polizia, Gianfranco Fini vicepremier, Claudio Scajola ministro degli Interni. Giuseppe Pisanu e Roberto Maroni coprirono lo stesso incarico al Viminale negli anni successivi. Roberto Castelli visitò la caserma di Bolzaneto
«La commissione d'inchiesta sul G8 era unicamente una cambiale che si pagava agli amici dei black bloc: la sinistra radicale»(Gianfranco Fini, 2007)
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venerdì 6 luglio 2012
L'Istituto Luce sbarca su Youtube
Ci sono gli storici Cinegiornali Luce, ma anche la settimana Incom, il rotocalco che veniva proiettato nelle sale cinematografiche prima dello spettacolo. Documenti e fotogrammi che raccontano quarant’anni della nostra storia: da ieri è possibile consultare questo patrimonio audiovisivo, online, su un apposito canale di Youtube, grazie a un accordo tra la piattaforma video di Google e l’Istituto Luce Cinecittà. E per consentire agli utenti di orientarsi in questo vasto materiale sono state create delle apposite playlist tematiche. Sul canale dedicato www.youtube.com/cinecittaluce, sono stati caricati già 30 mila video. Oltre ai Cinegiornali Luce che risalgono al periodo 1927-1945 e alla Settimana Incom del 1946-1964, saranno disponibili anche materiali provenienti da altri archivi digitalizzati e conservati. “È una svolta storica, tecnologica e culturale che consente di aprirci al mondo. Credo sia un bell’esempio di come si possa rendere la cultura davvero accessibile a tutti, soprattutto ai giovani”, ha spiegato Rodrigo Cipriani Foresio, presidente di Istituto Luce-Cinecittà che ha aggiunto: “Se fino ad ora 400-500 persone al giorno si collegavano al nostro sito, da quando abbiamo iniziato a caricare il materiale sono salite a 500mila in tutto il mondo”. “Grazie a questo accordo potremo contribuire a preservare e tramandare la storia e la cultura cinematografica italiana alle generazioni future, un valore che non possiamo permetterci di perdere nel tempo e che siamo orgogliosi di contribuire a tutelare”, ha affermato Carlo d’Asaro Biondo, presidente dell’area Sud-Est Europa, Medio Oriente e Africa di Google. La partnership prevede che i costi tecnici siano a carico di Google, mentre la maggior parte dei ricavi derivanti
dalla pubblicità all’Istituto Luce Cinecittà. (Il Fatto Quotidiano)
mercoledì 4 luglio 2012
Istruzione. Tagli e regali.
Dal 2013 il Fondo per il finanziamento ordinario degli atenei sarà ridotto di 200 milioni. Prevista una riorganizzazione anche per gli enti di ricerca
a cominciare dal Cnr, dall’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e da quello di geofisica e vulcanologia (Ingv). Vengono invece soppressi l’Istituto nazionale di ricerca metrologica, la Stazione zoologica Anton Dohrn, l’Istituto italiano di studi germanici e l’Istituto nazionale di alta matematica. A rischio anche l’Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale, quello di astrofisica e il Museo storico intitolato a Enrico Fermi.
Per le scuole non statali sono in arrivo invece nuovi fondi per 200 milioni.
Tra le misure anche un maggiore coordinamento tra gli istituti che formano i funzionari pubblici e una riforma del sistema di reclutamento.
martedì 3 luglio 2012
Iker Casillas Fernández
«Preferisco essere ricordato come una brava persona piuttosto che come un portiere, bravo o scarso che sia».(Iker Casillas Fernández)
lunedì 2 luglio 2012
Guerre pallonare
"Italians lose wars as if they were football matches, and football matches as if they were wars".(Winston Churchill)
domenica 1 luglio 2012
"Una domenica italiana"
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Pubblica opere di Michelangelo Pistoletto, Stefano Arienti, Marcello Jori, Emilio Isgrò, Ernesto Tatafiore.
"Eroi in mutande"
di Marco Travaglio
Siccome la mamma dei cretini è sempre gravida, c’è chi – soprattutto gli onanisti di twitter, più un insettucolo di Radio24 e un tal Macioce del Giornale – continua a menarla sul fatto che tifo contro gli “azzurri” agli Europei. Non mi riferisco a chi ci scherza sopra, com'è giusto che sia (tipo la banda del Misfatto), ma a chi replica con argomenti seriosi, patriottici, nazionalistici: tifare contro la Nazionale di calcio sarebbe disfattismo, tradimento, intelligenza col nemico teutonico. Se è per questo ho tifato pure per Spagna, Croazia, Irlanda e Inghilterra quando giocavano contro l’Italia. Invece ho tifato per l’Italia in altri tempi, quando a simboleggiarla erano i Bearzot, gli Zoff, i Trap. Anche allora c’era qualche furbetto coinvolto in scandali, tipo Rossi nel 1982: ma avevano pagato il conto con la giustizia. Ora invece, si usano le vittorie sportive (anche quelle meritate, come contro la Germania) per chiudere altre partite senza neppure aprirle: quella del calcioscommesse, che al rientro dei nostri eroi in mutande sfocerà nei deferimenti di club di serie A e di parecchi giocatori, forse anche azzurri; e addirittura quella della politica e dell’economia europea, con una ridicola, puerile, penosa ricerca di vendetta su paesi più virtuosi del nostro. Tipo la Germania della Merkel. Io vorrei sapere, che si vinca o si perda, cos’è quel milione e mezzo versato da capitan Buffon a un tabaccaio di Parma. Vorrei sapere quali e quanti dirigenti e calciatori coinvolti nell’inchiesta di Cremona per essersi venduti le partite in barba ai tifosi e alla lealtà sportiva, sono colpevoli o innocenti. E vorrei che i colpevoli fossero radiati e condannati. Nessuna vittoria all’Europeo può cancellare lo scandalo. E invece c’è chi confonde i piani.
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