Rendering di “Archipelago 21”, i grattacieli progettati da Libeskind a Seul, in Corea.
Costruire sempre più in alto.
Per consumare meno terreno e far spostare di meno le persone. La sfida hi-tech urbana del XXI secolo.
di Alessandra Viola (L'Espresso)
Grattacieli come ghiaccioli, come alberi, perfino come discariche. C’è di che farsi girare la testa, a guardare i progetti hi-tech che gli architetti di tutto il mondo hanno sfornato negli ultimi mesi. L’ultima occasione è la Skyscraper competition, la sfida per il grattacielo più innovativo.
Quest’anno l’idea vincente (ma per ora è solo una proposta accademica) si chiama Himalaya Water Tower e viene dalla Cina: immagina la costruzione di edifici alti ottocento metri addirittura sull’Himalaya per raccogliere acqua durante la stagione delle piogge purificandola e surgelandola in modo da poterla ridistribuire a valle nei periodi di siccità (sempre più severi a causa dei cambiamenti climatici). Ogni Water Tower si compone di quattro parti e somiglia a una pianta gigante, sorretta da sei tentacoli portanti ricoperti da un microfilm di cellule vegetali, che raccolgono l’acqua piovana e la trasportano verso l’alto. La parte superiore di ogni torre sarebbe composta da quattro cilindri dove l’acqua viene conservata sotto forma di ghiaccio e tra questa e la parte inferiore si trova una zona intermedia che ospita la tecnologia utile per la purificazione e il surgelamento.
Tra i sogni più arditi del 2012 c’è anche Monument to Civilization, grattacielo-discarica in cui si potrebbero raccogliere tutti i rifiuti cittadini per produrre biogas tramite un impianto di digestione anaerobica riprocessando in più le acque reflue, ma anche per elevare un monito alla civiltà dei consumi.
Ogni grattacielo, di altezza variabile a seconda della quantità di rifiuti prodotti, rappresenterebbe (all’inverso) il livello di civiltà della città in cui sorge: per fare un esempio, a New York la spazzatura prodotta in un anno eleverebbe una torre alta 1.300 metri.
Insomma, ce n’è per tutti i gusti e soprattutto per ogni uso possibile, partendo dalla questione cardine che ormai da anni anima i dibattiti sulla pianificazione urbanistica: com’è possibile sostenere il continuo inurbamento e l’aumento della popolazione mondiale senza costruire città mostruose, estese per centinaia di chilometri quadrati e di fatto impossibili da vivere? In molti scommettono sull’altezza: tutto andrà verticalizzato, creando più spazio per case, negozi e uffici e meno necessità di spostarsi freneticamente da una parte all’altra.
E il concetto non appartiene solo ai grattacieli “dream” ma anche a quelli già in costruzione come The Shard, il nuovo lavoro di Renzo Piano per Londra: una sorta di piccola città nella città con uffici, abitazioni, hotel, ristoranti, persino un giardino e un punto panoramico per complessivi 72 piani che verranno abitati da circa quindicimila persone.
La costruzione di The Shard, che il principe Carlo ha definito “una saliera”, ha sollevato un acceso dibattito tra i londinesi, malgrado l’edificio presenti alcune novità tecnologiche destinate a farlo rapidamente benvolere: verrà areato naturalmente grazie a un complesso sistema di prese d’aria, sarà molto meno energivoro di altre strutture di pari volume ma soprattutto sarà fotosensibile e trasparente per non offrire resistenza allo sguardo e integrarsi più facilmente nel contesto preesistente. «Solitamente gli edifici alti sono a specchio o neri, come gli occhiali da sole», spiega Piano, che sta costruendo anche altri due grattacieli uno a Torino e uno a Seul. «Sono costruiti così perché devono difendersi dalle radiazioni solari ma proprio come le persone che portano sempre gli occhiali da sole, visti da fuori sembrano edifici arroganti, isolati. Per The Shard abbiamo fatto molto lavoro di ricerca sulla trasparenza e l’accessibilità visiva dell’edificio, introducendo un sistema attivo che rende la facciata sensibile al Sole. Quando il Sole gira l’angolo, all’interno si apre una speciale tenda riflettente che ripara l’edificio garantendo stabilità alla temperatura. Appena il Sole si sposta di nuovo, la tenda sparisce e la struttura torna trasparente, permeabile alla vista, aperta».
Un accorgimento di non poco conto, per un grattacielo di 310 metri destinato ad essere, appena sarà terminato, il più alto d’Europa. Ma si può davvero continuare a spingersi sempre più in su? O esistono limiti tecnici persino all’ambizione degli architetti? «Con un approccio attento specialmente in zone sismiche, si può costruire senza problemi fino a 6-700 metri», continua Piano. «L’obiettivo è costruire più denso, costruire sul costruito, anziché realizzare nuove periferie aumentando le distanze e spingendo le persone a usare le automobili. Una città dispersa è poco ecologica e poco saggia sul piano dei consumi. Invece avere tutto nello stesso edificio, dalla casa all’ufficio, dai negozi al ristorante, contribuisce a diminuire il ricorso al trasporto privato».
Gli elementi cardine dei progetti sfornati dagli studi di tutto il mondo sono proprio funzionalità e sostenibilità. Prendiamo per esempio l’ecoprogetto coreano a impatto zero Archipelago 21, pensato come sistema di “isole” galleggianti nel verde che costituiranno il nuovo Yongsan International Business District (Yibd) di Seul. Nel maxiprogetto firmato da Daniel Libeskind le “isole” sono rappresentate ognuna da un grattacielo e sono orientate in base ai principi del feng-shui. Ogni grattacielo è un mondo a sé e porta la firma di uno dei big dell’architettura mondiale, da Dominique Perrault allo stesso Libeskind, da Asymtote a Tange. E le archistar hanno lasciato campo libero all’immaginazione. C’è lo studio danese Bjarke Ingels Group che ha progettato un grattacielo a forma di “cancelletto”(o hashtag, battezzato così per la forma simile al simbolo #), spezzando l’idea originaria di grattacielo in quattro parti di cui due costruite in verticale e due orizzontali, o Libeskind che ha disegnato tre “Torri danzanti” ispirate alla tradizionale danza coreana Seung-Moo.
Porta invece la firma di Piano il più alto dei nuovi grattacieli dello YIBD, che come gli altri servirà a sperimentare nuove tecnologie e a raggiungere nuovi standard di efficienza. Già ribattezzato Triple One (avrà 111 piani), sarà un cono tagliato obliquamente con un nucleo di calcestruzzo centrale. Per realizzarlo verrà sperimentato un sistema di rinforzi composto di tubi a doppia elica che correranno lungo il perimetro del grattacielo e serviranno a proteggerlo dal vento e dalle scosse sismiche. Con i suoi 620 metri di altezza, Triple One sarà il secondo grattacielo più alto del mondo dopo il Burj Khalifa di Dubai (830 metri).
Se Archipelago 21 appare un progetto ambizioso, che dire dei propositi di Nuova Delhi o dell’intento di Pechino di passare dagli attuali 75 grattacieli a 141 entro la fine del 2017? Forse il futuro sarà davvero sempre più verticale.
Su tanta propensione all’altezza pesa però la minaccia dello Skyscraper Index, indicatore proposto per ipotizzare una possibile correlazione tra boom edilizio e crisi economiche: la New York che aveva appena innalzato l’Empire State Building e il Chrysler fu inghiottita poco dopo dalla Grande Depressione, e di recente il collasso finanziario di Dubai sembra essere seguito alla bolla immobiliare che aveva portato alla costruzione del Burj Khalifa. Insomma, il gigantismo immobiliare sarebbe il sintomo di un sistema malato, caratterizzato da un errato stanziamento di capitale.
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