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BERLINO — Era il 1˚ luglio 1990. Helmut Kohl andò in tv e promise ai tedeschi: «Con gli sforzi riusciremo a trasformare il Meclemburgo-Pomerania, la Sassonia-Anhalt, il Brandeburgo, la Sassonia e la Turingia di nuovo in paesaggi fioriti, in cui converrà vivere e lavorare». I cinque Länder dell’Est e i suoi 16 milioni di abitanti si erano appena legati, in unione monetaria, a quelli dell’Ovest. Di lì a tre mesi, il 3 ottobre 1990, la Germania si ritrovò, anche politicamente, riunificata. Dietro quei «paesaggi fioriti», Kohl mise tutta la sua autorità. E quanto questa decisione — politica, come lui stesso rivendicò— costò cara, ancora oggi si dibatte. Fu Kohl che sfidò la Bundesbank e impose, tra il potentissimo marco e la moneta dell’Est che veniva scambiata al mercato nero 10 a 1, la parità.
«Eine Mark ist eine Mark». E se la frase (pare) non la pronunciò mai, le conseguenze furono colossali. Non possiamo, disse Kohl, condannare i cittadini dell’Est alla povertà e all’umiliazione.
Il capo della Buba, Karl Otto Pöhl — che voleva un cambio 4 a 1 — si dimise.
Il resto arrivò a catena: le fabbriche dell’Est (la regola del 1 a 1 valeva per gli stipendi e le pensioni, per i depositi il cambio era di 2 a 1) finirono fuori mercato, e fallirono. Ci furono effetti comici: nel 1989, l’International Statistical Yearbook indicava per la Germania dell’Est un reddito superiore (10.400) a quello dell’Ovest (10.050 dollari).
Al boom iniziale (crescita del +5,7 nel 1990 e +5,1% nel 1991) seguirono anni di stagnazione. Il debito nazionale passò dal 43% dell’89 al 53% del ’94. I costi esplosero, la riunificazione è costata ai tedeschi 1.400 miliardi. Ma la scelta di Kohl, quel cambio 1 a 1, non fu mai rinnegata, e ancora adesso viene vista come la lezione ultima del cancelliere: la politica, e alcuni ideali che può perseguire (la ricomposizione dell’identità tedesca lo fu), vengono prima dell’economia.
Pagò solo la Germania? Certamente no. La Bundesbank contenne la grande immissione di nuova moneta con tassi alti (attorno al 10% nel ’93), scongiurando l’inflazione. Ma come disse il francese Hubert Védrine, consigliere di Mitterrand: «A che serve la bomba atomica, se i tedeschi hanno il Deutsche Mark?». E infatti, in quell’ economia pre-euro, ma retta dal meccanismo dello Sme, i rialzi dei tassi decisi a Francoforte si riverberarono quasi automaticamente sulle altre monete, cosa che si tradusse in recessione per molte economie europee (Germania inclusa).
Davanti alla commissione Bilancio e Tesoro, nel 1992, un Mario Monti ancora rettore della Bocconi, accenna agli effetti della riunificazione. «Il problema della finanza pubblica italiana è grave per il motivo, ben noto, delle dimensioni del debito. Il 1992 è stato per la Cee un anno di disavanzi pubblici elevati, anche a causa della riunificazione tedesca. Però se (...) nel resto della Cee il disavanzo corrente è stato dello 0,7% del Pil, quello italiano (6,2%) è stato di 8,9 volte tanto».
Poi arrivò il settembre nero ’93. E l’Italia, spesa pubblica senza freni, deficit alle stelle e debito sul 120%, fu costretta con la sterlina a uscire dallo Sme. Furono, per molti analisti, anche gli alti tassi della Bundesbank uno dei motivi scatenanti dello shock finanziario. «Questa versione che la riunificazione tedesca la pagarono gli altri si è diffusa soprattutto in Francia — dice Riccardo Perissich, già capo di gabinetto di Spinelli, stretto collaboratore di Delors e uno degli euroburocrati più importanti che l’Italia abbia avuto a Bruxelles —. È vero, uno shock finanziario ci fu. Ma è una lettura eccessiva. Ingenerosa verso la Germania che si accollò gran parte dei costi della riunificazione». Sandro Gozi, che ha lavorato nel gabinetto di Prodi, parla della solidarietà che la Germania ottenne: «Subito, nel 1990, con procedura d’urgenza, fu attivato il Fondo speciale per i Länder dell’Est». Però, verso la Germania (contribuente netto, che ha più dato che ricevuto dalla Cee e poi dall’Ue) sono andati molti meno fondi che verso il Mezzogiorno. E, non ultimo, Kohl — alle insistenze di Mitterrand — sacrificò ilmarco, spianando la strada all’euro, per ridare ai tedeschi una sola patria.
Di riunificazione si riparla molto in Germania. Se c’è un Paese che capisce i costi di un risanamento massiccio, come quello che potrebbe richiedere la Grecia o altri, siamo noi, dicono. La cancelliera, quando un giornalista mise in dubbio i costi dell’unità nazionale, rispose: «Questo non si discute. Se no, non sarei qui». Appunto, c’erano cose in Germania che, vent’anni fa, non avevano prezzo.
Mara Gergolet
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