venerdì 24 febbraio 2012

"Il vero contagio è quello politico"



Il default greco è solo rimandato. Ma l’effetto domino è sui partiti: ad Atene sono favorite la destra, colpevole del dissesto, e l’estrema sinistra. Chi si comporta in modo responsabile, come il Pasok, perde le elezioni
di Luigi Zingales
Cosa c’è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa - scrive Shakespeare - anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo. Ma i paesi dell’area euro non sembrano essere d’accordo. Per loro un default della Grecia ha conseguenze molto diverse se si chiama “ristrutturazione volontaria”.
Con default si intende il mancato pagamento di un debito. Già due anni fa, dopo la rivelazione che i suoi conti pubblici erano truccati, la Grecia era in procinto di fare default. Per ben due anni, però, i Paesi dell’area euro hanno cercato di nascondere la realtà. Non per ignoranza, ma per paura delle conseguenze. Il primo timore è che le banche greche, che prendono a prestito dalla Banca centrale europea (Bce) depositando come garanzia i titoli di Stato greci, vengano tagliate fuori dall’accesso alla Bce nel momento in cui questi titoli sono considerati ufficialmente in default. Nel qual caso le banche greche, prive di liquidità, non sarebbero in grado di operare senza aiuti da parte dell’Unione europea. Lasciarle fallire peggiorerebbe ulteriormente la situazione economica della Grecia, costringendola a un’uscita dall’euro.
La seconda paura è legata ai contratti di assicurazione contro il default (i famigerati credit default swap). Nessuno sa quanti ce ne siano in giro e chi debba pagarli. Questo aumenta il rischio di insolvenza di altre banche al di fuori della Grecia. Il terzo timore è quello di un contagio. Se la Grecia fallisce, il mercato comincia a domandarsi perché non il Portogallo, l’Irlanda, la Spagna, l’Italia.
DEI TRE TIMORI, il primo è sicuramente fondato: senza una garanzia da parte dei Paesi “forti” le banche greche falliscono, trascinando il Paese in una spirale pericolosa. Il secondo è esagerato. La maggior parte di queste assicurazioni sono tra operatori che si riassicurano tra loro. L’ammontare netto è limitato. Il terzo timore è reale, ma si confonde causa con effetto. Il mercato sa che la Grecia è insolvente. L’unica informazione aggiuntiva se la Grecia fallisce è che gli altri Stati non intervengono a salvarla.
Ma questo non può cambiare le aspettative su quello che succederà nel caso che a fallire dovesse essere l’Italia: la Germania non interverrebbe comunque. Quindi che la Grecia fallisca o no il risultato finale non cambia.
CIÒ NONOSTANTE,per gli ultimi due anni l’area euro ha concesso credito alla
Grecia rimandandone il default. Questi aiuti ne hanno peggiorato la situazione debitoria, ma hanno permesso alle banche, soprattutto tedesche, di rientrare dai propri crediti con perdite limitate. Adesso i pochi creditori privati rimasti sono costretti a uno scambio volontario (un ossimoro) in cui il valore facciale del loro debito viene ridotto del 70 per cento. Trattandosi di un accordo “volontario” i credit default swap non dovrebbero scattare e, secondo le autorità, il panico non dovrebbe diffondersi. Nel frattempo, però, la Grecia langue. Dopo una riduzione del Pil del 2,3 per cento nel 2009, del 4,4 per cento nel 2010 e del 5 per cento nel 2011, si avvia al quarto anno di recessione consecutiva. Applicandosi solo al debito in mani private (la Bce e il Fondo monetario si rifiutano di accettare alcuna perdita) la ristrutturazione volontaria porta il debito greco al 120 per cento del Pil, un livello non sostenibile. Il default generalizzato, quindi, non è evitato, è solo rimandato.
Così facendo si ignora il vero contagio della Grecia: quello politico. Il Pasok di Papandreu, che ha ereditato senza colpe proprie il dissesto finanziario e ha cercato di risolverlo con misure draconiane, nei sondaggi è ridotto all’8 per cento. Le previsioni danno vincente la destra, che ha causato il dissesto finanziario, lavandosene poi le mani. Ma è possibile anche una vittoria dell’estrema sinistra, che si è rifiutata di sostenere le misure richieste dall’Europa. La lezione è chiara: chi si comporta in modo responsabile perde le elezioni. Non è un caso che Berlusconi ha passato la patata bollente: vuole che a bruciarsi sia un altro. (l'Espresso, 24 febbraio 2012)

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