martedì 29 agosto 2006

Una luce inattesa. Viaggio in Afghanistan

Molti generali inglesi in queste settimane sembrano aver riscoperto la lezione di Kipling che raccontò del disastroso tentativo nell'800 di occupazione dell'Afghanistan.
Il famoso "Grande Gioco".

Prima di loro altri, passando per Tamerlano e finendo con Alessandro Magno.
Mai con esiti così disastrosi come negli ultimi due secoli.

Alla fine degli anni '70 l'intervento suicida dell'Unione Sovietica.
Infine gli USA /GB...

Consiglio la lettura di:
Una luce inattesa. Viaggio in Afghanistan
Jason Elliot

Un articolo di Marco Leofrigio dell'8 agosto:
Il Khyber Pass tornerà di nuovo a popolare gli incubi dei soldati di Sua Maestà? È quello che molti pensano in Gran Bretagna, ora che i britannici hanno assunto il comando della missione Isaf/Nato in Afghanistan, e che il contingente è salito a quota quattromila uomini. L’opinione pubblica teme la ricomparsa dei vecchi scheletri delle sconfitte subite durante l’era Vittoriana, inflitte dalle tribù delle impervie montagne centro-asiatiche nel corso delle precedenti guerre anglo-afgane (1839-42, 1878-1880). Anche a Maiwand, la provincia tra Kandahar ed Helmand, nel 1880 gli inglesi subirono una clamorosa disfatta. E ora questo distretto, che fa parte dell’area operativa delle forze britanniche, è una delle principali roccaforti dei Talebani, che si sono riorganizzati con formazioni da combattimento che hanno raggiunto la dimensione anche di colonne di duecento uomini e nelle scorse settimane sono passati all’offensiva conquistando, anche se per breve tempo, due villaggi nella zona di Kandahar. Gli studenti del Corano possono contare, inoltre, su solide retrovie che controllano le zone montuose del Pakistan, in particolare il Waziristan, che costituisce una base logistico-operativa indispensabile, così come lo erano per i Vietcong il Laos e la Cambogia durante il conflitto con gli Stati Uniti.

Da qualche tempo ai fedeli del Mullah Omar si è unito Gulbuddin Hekmatyar, uno degli ex-signori della guerra, prospettando una pericolosa alleanza tra elementi collegati ad al Qaeda e l’insurrezione afgana. Informazioni sulla nuova strategia dei guerriglieri provengono da uno dei comandanti del movimento, Gul Mohammed, che è stato recentemente intervistato da Asia Times Online. Mohammed venne arrestato nel 2001 ma rilasciato due anni dopo, approfittandone per riunirsi ai suoi vecchi commilitoni con oltre un migliaio di uomini. Nell’intervista ha delineato due cardini per la lotta in corso: uno militare e l’altro politico. ««Il movimento si è evoluto da guerriglia a ribellione diffusa con una base forte nel sud del paese e a nord di Kabul e il sentimento su cui fa leva è chiaramente l’ opposizione alla presenza di truppe straniere. Nella parte meridionale del paese le roccaforti sono attorno alle città di Kandahar, Qalat e Helmand e possiamo contare su stock di armi predisposte prima dell’attacco delle forze americane nel 2001». L’intensificazione della lotta risulta evidente analizzando il dato sugli attacchi kamikaze: appena cinque nel 2004, ben ventuno nel primo semestre 2006: maggio è stato il mese peggiore dal 2001 con oltre 400 persone uccise.

Ma oltre la recrudescenza dello scontro sul campo, quello che preoccupa in Occidente è la piega presa sotto l’aspetto politico. Autorevoli centri di studi strategici confermano i segnali di aumento di consenso del movimento talebano tra la popolazione afgana: fonti attendibili valutano che a Kandahar l’80% della popolazione li appoggi più o meno apertamente. La cosiddetta battaglia per i cuori e le menti si sta orientando a sfavore della coalizione occidentale, a causa di un mutamento di percezione tra la popolazione che minaccia i grandi sforzi compiuti sia da parte statunitense sia da parte Nato. Da par suo il governo di Kabul ritiene che Islamabad controlli alcuni dei gruppi di combattenti ma che non faccia nulla per bloccarli, a parte le azioni repressive di carattere propagandistico condotte nel Waziristan. In ogni caso è un fatto che nel 2004 molti soldati pakistani siano caduti in diverse imboscate dei talebani, nella parte meridionale di quella regione. Alcuni attenti osservatori della stampa inglese hanno rilevato che la modalità operativa di queste imboscate è simile a quelle subite dagli inglesi nelle precedenti guerre anglo-afgane. Ed a rendere sempre più incerto il clima vi sono notizie di aiuti in armamenti provenienti dall’Iran: lanciarazzi e mitragliatrici pesanti, secondo alcuni, transitano dalla regione iraniana del Belucistan, le cui tribù trafficano con l’oppio afgano. I talebani hanno dunque rafforzato gli attacchi nel sud, in un chiaro tentativo di indebolire l’autorità di Hamid Karzai, in occasione del trasferimento del controllo delle province meridionali dalla coalizione a guida Usa alla forza Isaf/Nato, avvenuto in via definitiva il 31 luglio scorso. Il vero obiettivo di questi attacchi è la protezione delle ricchissime coltivazioni di oppio, fiorenti in questi distretti meridionali. Proprio la mission principale degli inglesi è la lotta alla produzione dell’oppio afgano, che vede in questa zona una produzione pari al 20% del totale. È evidente che gli sforzi per consolidare l’esecutivo filo-occidentale, dovranno essere accompagnati anche dal soft power della coalizione, altrimenti anche l’Afghanistan potrebbe scivolare in un pericoloso e per nulla auspicabile scenario di tipo iracheno.

sabato 26 agosto 2006

Il dietrofront dei "soldatini"


Il “soldatino Romano”, scrive Vittorio Feltri mettendo Prodi e i suoi in elmetto e tuta mimetica, “frigge dal desiderio di trastullarsi coi soldatini”. Una scelta pazza dovuta a una “mistura di megalomania e furbizia politica”, ammonisce Beppe Pisanu, che rischia di “portarci i kamikaze in casa”. “Mettete le bombe nei vostri cannoni”, ironizza "la Padania" sull’aria d’una canzone, accusando i nonviolenti d’aver fatto “una capriola” e gli alleati di aver “detto "sissignore” troppo in fretta". “Il nostro Paese è stato troppo precipitoso”, sentenzia Marcello Pera. Ed è tutto un coro: la sinistra corre troppo, ci vuole prudenza, non si gioca con la guerra. Andare in Libano, scrive il direttore di “Libero”, non è “come litigare con Giovanardi o con Berlusconi davanti alle telecamere”. Parole d’oro: cautela, cautela, cautela. Che gli appelli, le diffide e le intemerate contro la faciloneria della sinistra si levino da destra, però, strappa il sorriso.

Ma ve li ricordate, i severi e prudenti censori di oggi, nelle settimane in cui il governo della Cdl decise di schierarsi “senza se e senza ma” per la guerra preventiva americana decisa da George W. Bush? “Il tempo di fumarsi un sigaro e sarà già finita”, assicurò gagliardo Umberto Bossi. E appena le truppe americane entrarono nella capitale irachena, venne giù un diluvio di ironie, frecciate, risatine. Caduta Bagdad, scrisse il senatore azzurro Paolo Guzzanti, “resiste nel suo fortilizio di ipocrisia il ridotto delle squadre pacifiste. Quel che impressiona in questa vicenda è proprio la corazza da 8 centimetri di ipocrisia rafforzata con la menzogna. Infatti, se Giraudoux poteva annunciare con una sua famosa e surreale opera teatrale che "La guerra di Troia non si farà", il quartier generale della malafede e del ridicolo può oggi annunciare con fervida faccia di bronzo che la manifestazione per la pace si farà. Quale pace, se la pace è già scoppiata come un’arma di costruzione di massa nelle piazze di Bagdad, con curdi e sciiti e sunniti che gridavano "Viva Bush", sventolando la bandiera a stelle e strisce?” Non meno dura fu la rampogna alla sinistra di Elio Vito: “Quando trionfano, come stanno trionfando, la libertà e la democrazia, tutte le parti politiche debbono rallegrarsene”. Proprio un trionfo? Altroché. Parola del ministro della difesa Antonio Martino: “Quella anglo-americana è stata un’azione militare di grandissimo successo, rapida e con un numero di vittime assai contenuto”. Rischi? Zero, rassicurava il ministro degli interni. Titolo dell’Ansa: “Pisanu, guerra in Iraq non ha aggravato minacce”. “La sinistra, sia pure divisa fra posizioni più moderate, e posizioni dominate da un anti-americanismo arrabbiato può solo celebrare, nella prossima manifestazione (pacifista) la sua sconfitta”, scriveva “Il Giornale” berlusconiano. Di più, rincarava Sandro Bondi: “Deve fare un impietoso esame autocritico e una seria riflessione sui propri errori, pena la sua sparizione come forza credibile di fronte alla nazione”. “Ma sta zitto, filosofo da osteria!”, sbottava Claudio Martelli liquidando in un dibattito tivù un Massimo Cacciari perplesso sul fatto che la guerra fosse davvero finita. E lo stesso Pera, nelle vesti di presidente del Senato, non mancò di manifestare il suo disappunto per l’attardarsi dell’opposizione italiana nell’analisi di ciò che stava succedendo: “Sono sorpreso e talvolta anche sconcertato dalla qualità poverissima del dibattito italiano sulla guerra, mentre la politica e la diplomazia internazionale già si occupano del ‘dopo Saddam’”. “Coloro che speravano che la guerra fosse lunga per poter dare corso al loro livore antiamericano sono serviti”, gongolava Ignazio La Russa proponendo “la rottamazione delle bandiere arcobaleno”. “Un’altra opposizione avrebbe avuto il coraggio di riconoscere i meriti del nostro governo”, sospirava Renato Schifani, “purtroppo non è stato così. I fatti ci dicono che l’Ulivo è spiazzato dalle giuste strategie italiane in politica estera, e per il piano di aiuti umanitari varato dall’esecutivo in soccorso delle popolazioni liberate, che il governo saprà gestire con efficienza e incisività”. Certa che la "pax americana" fosse bella e acquisita, Isabella Bertolini gorgheggiava: “Le immagini televisive che ci mostrano la popolazione irachena in festa hanno annichilito le sinistre italiane sfatando tutte le loro previsioni disfattiste in una guerra lunga e sanguinosa”. “Le reazioni di giubilo iracheno confermano la correttezza delle posizioni del Governo mentre Francia e Germania sono con le pive nel sacco”, confermava Roberto Calderoli. “Quelle scene di gioia che stanno scorrendo davanti ai nostri occhi rendono evidente che l’intervento armato pone le premesse di un nuovo ordine mondiale”, ribadiva Francesco D’Onofrio, spiegando che “lo schianto del regime di Saddam” faceva “giustizia dei non pochi catastrofismi che abbiamo ascoltato e letto nel corso delle operazioni militari”. “Le profezie nefaste di quanti preconizzavano una guerra lunghissima con centinaia di migliaia di profughi sono state smentite”, esultava la capogruppo europeo di An Cristiana Muscardini. “Bagdad è libera e la sinistra in lutto”, diceva un comunicato leghista. “Berlusconi, senza entrare in guerra, l’ha vinta”, sintetizzava Gianfranco Rotondi.

Quanto a lui, il Cavalier che nel 1996 aveva fatto gli auguri a Prodi sperando che non avesse “a che fare con cose più grandi di lui” (“Ve l’immaginate davanti a una dichiarazione di guerra?”) si presentò a un comizio come Adriano in trionfo a Gerasa. Per cominciare, rassicurò gli italiani dubbiosi sul futuro: “Mi rallegro che la guerra sia finita e anche che sia stata rapida e abbia causato meno vittime di quanto si potesse temere”. Poi frustò “gli uomini della sinistra che speravano che le forze alleate sarebbero rimaste impantanate come in Vietnam” senza capire l’obiettivo di “realizzare un sistema democratico per garantire la libertà che è un bene che si diffonde positivamente su tutti”. Quindi rivendicò: “Il nostro filo-americanismo è stata una posizione vincente, che ha condannato i gargarismi antimilitaristi”. L’anno dopo, mentre arrivavano notizie quotidiane sempre più sconvolgenti, insisteva: “Qualcuno da noi parla di un ovattato clima antiamericano, ma io non ci credo. Le elezioni regolari saranno la conseguenza di uno Stato ben funzionante. Ormai in Iraq c’è una vita regolare, ci sono le scuole eccetera. Poi, certo, ci sono le cose che non funzionano: ad esempio, i semafori a Bagdad non funzionano...” Cosa sia successo poi è sotto gli occhi di tutti.
(Gian Antonio Stella - Corriere della Sera)

“Io non sono mai stato convinto che la guerra fosse il sistema migliore per arrivare a rendere democratico un paese
e a farlo uscire da una dittatura anche sanguinosa”.


Io - ha detto ancora il premier, a pochi giorni dall’inchiesta di Repubblica sulle responsabilità del governo italiano nella costruzione
di prove false sulle armi irachene - ho tentato a più riprese di convincere il presidente americano a non fare la guerra (…).
Ho tentato di trovare altre vie e altre soluzioni, anche attraverso un’attività congiunta con il leader africano Gheddafi.
Non ci siamo riusciti e c’è stata l’operazione militare (…).
Io ritenevo che si sarebbe dovuta evitare un’azione militare

Silvio Berlusconi, in un'intervista a La7
31 ottobre 2005

Il giornalista Bruno Vespa cita a testimonianza di quanto afferma Berlusconi il proprio libro, Il Cavaliere e il Professore:
“Ho sempre temuto l’impresa militare in Iraq. In due successivi colloqui con il presidente Bush ho espresso queste riserve, cercando di convincerlo a non intraprendere l’azione militare.
Gli avevo anche suggerito di subordinarla a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu
.

Balle Spaziali ... le definirà qualcuno.

mercoledì 16 agosto 2006

Persepolis

"Persepolis" è il primo fumetto iraniano mai realizzato, e nasce dalle matite di Marjane Satrapi nel 2000. L'opera viene pubblicata per la prima volta in Francia proprio nel 2000, divisa in 4 volumi, e grazie a "Persepolis", Marjane Satrapi vince il celebre premio Alph'Art du coup-de-cour al Festival di Angouleme del 2001, premio che trasforma l'opera (e la sua autrice) in un vero e proprio caso letterario a livello internazionale. "Persepolis" arriva in italia nel 2002, riscuotendo immediatamente un enorme successo, e attualmente viene spesso paragonato a opere del calibro di Maus.
(uBC)

sabato 12 agosto 2006

Perché studiare matematica e latino
















Abbandonare lo studio del latino a partire dalla media è stato un errore.
Ancora più grave il fatto che si è destrutturato l'insegnamento concisamente, abbandonando anche i due potenti strumenti dell'analisi grammaticale e logica che accompagnavano il latino.
Oggi, la matematica è restata sola a fare il ruolo della cattiva e della selezionatrice.
La conseguenza è odio per la matematica e incapacità di incanalare il pensiero su vie razionali.

Lo studio del Latino contribuisce allo sviluppo delle capacità astrattive della prima adolescenza.
La consecutio, i verbi irregolari, le proporzioni matematiche...
affinano l'abilità di manipolare concetti diversi tra loro.

Le altre discipline, invece, sono soprattutto descrittive.

A questo indirizzo è possibile scaricare un Saggio in materia di due ricercatrici dell'Università di Trieste.
Formato PDF, 201 Kb