venerdì 31 agosto 2012

Lunedì tutti malati


Numero medio annuo delle giornate di malattia per ciascun lavoratore, per settore, territorio e genere, anno 2011: cliccare per ingrandire


di Corrado Giustiniani

Scettici sullo stress da weekend? 
E invece è vero: il giorno in cui gli italiani si ammalano più di frequente è il lunedì.
Convinti che nel privato si facciano meno assenze? Falso: i giorni passati a casa per malattia sono in media 17 l’anno per chi lavora in ditta, un giorno abbondante in meno per i dipendenti pubblici. E la regione con la peggior salute collettiva? È la Calabria, visto che lì i dipendenti privati si ammalano per 24 giorni e mezzo a testa e i pubblici sfiorano i 20 giorni. Un record.
Queste e molte altre informazioni ancora sono il risultato del nuovo sistema di notifica via computer all’Inps dei certificati malattia. «Siamo l’unico paese d’Europa che ha la teletrasmissione dei dati di malattia e che accentra tutte le informazioni presso un unico Istituto», dice orgoglioso il presidente Antonio Mastrapasqua. È un’autentica rivoluzione quella partita con gli 11 milioni e 714 mila certificati medici trasmessi nel 2011 per il settore privato e con i 4 milioni e 705 mila giunti per il comparto pubblico: «La teletrasmissione», spiega Mastrapasqua, «fa risparmiare tempo e denaro e consente di contrastare le finte malattie. Ma ha anche un ruolo di prevenzione, perché fotografa lo scenario della salute sul posto di lavoro, la ripetitività di certe affezioni per tipologia di azienda e per zona geografica. Il caso dell’Ilva oggi, e tanti altri in passato, ci ricordano come tutto ciò sia di vitale importanza». Per questo il presidente non maschera la sua delusione: «Quello che stupisce è che nessuno fino ad oggi ci abbia ancora interpellato per studiare questa straordinaria messe di informazioni. Non il ministero della Salute, non le Regioni che quella competenza hanno come primaria, non le organizzazioni degli imprenditori, come Confindustria e Confcommercio, non chi si occupa di medicina del lavoro».

mercoledì 8 agosto 2012

Chi ha pagato il conto dell’unità tedesca?


Cliccare per ingrandire


BERLINO — Era il 1˚ luglio 1990. Helmut Kohl andò in tv e promise ai tedeschi: «Con gli sforzi riusciremo a trasformare il Meclemburgo-Pomerania, la Sassonia-Anhalt, il Brandeburgo, la Sassonia e la Turingia di nuovo in paesaggi fioriti, in cui converrà vivere e lavorare». I cinque Länder dell’Est e i suoi 16 milioni di abitanti si erano appena legati, in unione monetaria, a quelli dell’Ovest. Di lì a tre mesi, il 3 ottobre 1990, la Germania si ritrovò, anche politicamente, riunificata. Dietro quei «paesaggi fioriti», Kohl mise tutta la sua autorità. E quanto questa decisione — politica, come lui stesso rivendicò— costò cara, ancora oggi si dibatte. Fu Kohl che sfidò la Bundesbank e impose, tra il potentissimo marco e la moneta dell’Est che veniva scambiata al mercato nero 10 a 1, la parità.
«Eine Mark ist eine Mark». E se la frase (pare) non la pronunciò mai, le conseguenze furono colossali. Non possiamo, disse Kohl, condannare i cittadini dell’Est alla povertà e all’umiliazione.
Il capo della Buba, Karl Otto Pöhl — che voleva un cambio 4 a 1 — si dimise.
Il resto arrivò a catena: le fabbriche dell’Est (la regola del 1 a 1 valeva per gli stipendi e le pensioni, per i depositi il cambio era di 2 a 1) finirono fuori mercato, e fallirono. Ci furono effetti comici: nel 1989, l’International Statistical Yearbook indicava per la Germania dell’Est un reddito superiore (10.400) a quello dell’Ovest (10.050 dollari).
Al boom iniziale (crescita del +5,7 nel 1990 e +5,1% nel 1991) seguirono anni di stagnazione. Il debito nazionale passò dal 43% dell’89 al 53% del ’94. I costi esplosero, la riunificazione è costata ai tedeschi 1.400 miliardi. Ma la scelta di Kohl, quel cambio 1 a 1, non fu mai rinnegata, e ancora adesso viene vista come la lezione ultima del cancelliere: la politica, e alcuni ideali che può perseguire (la ricomposizione dell’identità tedesca lo fu), vengono prima dell’economia.
Pagò solo la Germania? Certamente no. La Bundesbank contenne la grande immissione di nuova moneta con tassi alti (attorno al 10% nel ’93), scongiurando l’inflazione. Ma come disse il francese Hubert Védrine, consigliere di Mitterrand: «A che serve la bomba atomica, se i tedeschi hanno il Deutsche Mark?». E infatti, in quell’ economia pre-euro, ma retta dal meccanismo dello Sme, i rialzi dei tassi decisi a Francoforte si riverberarono quasi automaticamente sulle altre monete, cosa che si tradusse in recessione per molte economie europee (Germania inclusa).

venerdì 3 agosto 2012

Sudafrica: nero, bianco ed oro


Londra 2012: il 4 senza pesi leggeri 
del Sudafrica vince l’oro ed ecco lo storico abbraccio tra il bianco Smith e il nero Ndlovu.

L’Iran, re Bibi e il “popolo eterno” di Israele

di David Grossman



ECCO un possibile scenario:
Israele attaccherà l’Iran contrariamente alla ferma presa di posizione del presidente Obama che quasi supplica di lasciare questa incombenza agli Stati Uniti d’America. E questo perché? Perché Benjamin Netanyahu ha una linea di pensiero e una visione storica secondo le quali — riassumendo a brevi linee — Israele è il “popolo eterno” mentre gli Stati Uniti, con tutto il rispetto, sono una specie di Assiria o di Babilonia, di Grecia o di Roma dei giorni nostri. Vale a dire: noi siamo per sempre, destinati a rimanere, mentre loro, nonostante tutto il potere che possiedono, sono momentanei, transitori, motivati da considerazioni politiche ed economiche limitate ed immediate, preoccupati delle ripercussioni che un eventuale attacco potrebbe avere sul prezzo del petrolio e sui risultati elettorali. Noi invece sussistiamo nella sfera dell’“Israele eterno” e portiamo in noi una memoria storica in cui balenano miracoli e imprese di salvezza che vanno oltre la logica e i limiti della realtà. Il loro presidente è “un’anima candida” che crede che i nemici ragionino in maniera razionale come lui mentre noi, già da quattromila anni, ci troviamo ad affrontare le forze più cruente e gli istinti umani più incontrollabili e oscuri della storia e sappiamo bene come comportarci per sopravvivere in queste zone d’ombra. C’è chi si sentirebbe in ansia dinanzi a una simile descrizione ma non è da escludere che il primo ministro la ritenga appropriata e persino elogiativa nei suoi confronti. Il capo del governo gode, come si sa, del supporto di un’ampia coalizione e non deve fare i conti con una forte opposizione. In un certo senso agisce come un leader unico – “re Bibi”, l’ha definito la rivista Time– e ciò significa che nel momento in cui Netanyahu dovrà prendere una decisione cruciale, il futuro e il destino della popolazione israeliana dipenderanno più che altro dalla sua visione del mondo estremista, inflessibile e radicata.