sabato 30 settembre 2006

Newsweek e la Jihad

"Losing Afghanistan: The Rise of Jihadistan" è la storia che appare sulla copertina dell'ultimo numero del Newsweek (2 ottobre), in tutto il mondo, Stati Uniti D'America esclusi.


Europa, Asia e Sud America, infatti, possono leggere l'interessante articolo che denuncia un'altra sconfitta dell'amministrazione Bush.


In Patria, invece, si preferisce puntare i riflettori su Annie Leibovitz, la fotografa delle celebrità.


In copertina non troviamo un combattente armato della "guerra santa" ma un felice quadretto familiare di una mamma in carriera ed i suoi tre figli.


Al Kamen, del Washington Post, analizza l'incapacità degli americani nel sapere affrontare la verità.

venerdì 29 settembre 2006

L'America rende legale la tortura


Il 28 settembre 2006 sarà un giorno da ricordare. Per gli americani e per il mondo.
Il Parlamento ha approvato (253 / 168 alla Camera e 65 / 34 al Senato) il disegno di Legge proposto da Bush sulla tortura.
Dodici Democratici l'hanno sostenuta, un Repubblicano, Lincoln Chafee, si è opposto.

Al senato, Arlen Specter ha cercato di includere un emendamento che permettesse agli stranieri indicati come "nemici combattenti" di invocare la giurisdizione delle Corti statunitensi per verificare la costituzionalità o la legalità della loro detenzione.
Tentativo fallito per 51 voti contro 48. I Repubblicani non hanno alcun interesse nell'habeas corpus. Solo tre di loro, Chafee, Gordon Smith e John Sununu hanno votato l'emendamento. Il Democratico Ben Nelson ha votato contro.

Il Presidente avrà il potere di prendere le decisioni chiave per quanto riguarda l'applicazione della Convenzione di Ginevra e l'habeas corpus relativamente ai "nemici combattenti" di cui egli stesso ha fornito la definizione.
La CIA, quindi, potrà arbitrariamente detenere a tempo indeterminato chi fosse anche solo sospettato di favoreggiamento di attività ostili agli USA.
Potrà trattenerlo per decenni in prigione, se non procurargli la morte.

The Washington Post e The New Republic non usano mezzi termini nel condannare la nuova Legge.

L'America, da oggi, non avrà più niente da invidiare ai Khmer Rossi.

martedì 19 settembre 2006

Uzonka, la cicogna

Uzonka, la cicogna a cui è stata applicata una protesi in un ospedale per animali, in Romania.
Si era rotta il becco in un assalto.
(BBC News)

lunedì 18 settembre 2006

Puoi toglierti dalla luce del sole

Riferisce Diogene Laerzio che Diogene il Cinico se ne stava prendendo il sole nel Ceramico quando incontrò Alessandro Magno, che per primo gli rivolse la parola dicendo "Io sono Alessandro Magno", sentendosi rispondere: "E io sono Diogene il Cinico". Alessandro allora chiese a Diogene in che modo potesse servirlo e il filosofo rispose: "Puoi toglierti dalla luce del sole". Si narra che Alessandro fu così colpito dalla padronanza di sé dimostrata da Diogene che se ne andò commentando: "Se non fossi Alessandro, vorrei essere Diogene". Stando alla tradizione, Diogene morì a Corinto lo stesso giorno di Alessandro.

  • Sono cittadino del mondo intero.
  • C'è un sogno che ci sta sognando.
  • Il tempo è lo specchio dell'eternità.
  • Meglio essere povero sulla terra che ricco in mare.
  • La folla è madre di tiranni.
  • Preferisco avere una goccia di fortuna che una botte di saggezza.
  • Cosa è un filosofo che non danneggia i sentimenti di qualcuno?
  • A quale età un uomo deve prender moglie? Da giovane non ancora, da vecchio mai.
  • Nessuno patisce danno se non per propria mano.
  • I re saggi generalmente hanno saggi consiglieri, perché l'uomo capace di distinguere un saggio deve essere saggio egli stesso.

La proteina dell'invecchiamento

La pelle raggrinzisce lasciando spazio a solchi incolmabili, il cervello non e' piu' agile e ricettivo come una volta, giunture e articolazioni stridono come ammortizzatori usurati: e' la vecchiaia che, anche senza particolari malattie, si fa sentire perche' con gli anni organi e tessuti non ricevono piu' manutenzione e ricambio cellulare e cessano di funzionare in modo perfetto.
Da oggi, grazie a tre studi indipendenti tutti pubblicati sulla prestigiosa rivista britannica Nature, si conosce il colpevole di questo 'stato di abbandono' nel nostro corpo: una molecola che aumenta con gli anni, via via impedendo alle cellule progenitrici dei vari tessuti, le staminali adulte, di compiere quel ricambio cellulare necessario alla loro manutenzione. Senza queste 'cure', hanno spiegato i tre gruppi di ricerca -rispettivamente al Harvard Stem Cell Institute di Boston, alla University of North Carolina (UNC) presso Chapel Hill e alla University of Michigan presso Ann Arbor- il funzionamento del corpo diventa claudicante e noi invecchiamo.
La proteina, 'p16INK4a', gia' nota agli esperti per il suo ruolo di primo piano nel proteggerci dal cancro, causa quindi quel processo di senescenza cellulare a carico delle staminali, rendendole a un certo punto incapaci di proliferare e produrre nuove cellule che sostituiscano quelle usurate di organi e tessuti. Poiche' la quantita' cellulare di p16INK4a aumenta con gli anni, hanno spiegato gli scienziati, il primo sviluppo di questa importantissima scoperta e' che p16INK4a potrebbe divenire un marcatore per testare l'efficacia di nuovi ipotetici prodotti contro l'invecchiamento. Ma se un giorno si riuscisse a modificare la quantita' di p16INK4a in modo che tale intervento non ci metta a rischio di cancro, la "molecola della vecchiaia" potrebbe divenire un bersaglio di nuove terapie per rallentare i segni del tempo.
Ogni organo e tessuto del nostro corpo possiede un'officina di manutenzione dove sono al lavoro le cellule staminali adulte. Via via che ce n'e' bisogno, queste staminali si dividono dando sia cellule adulte che sostituiscono quelle usurate, sia altre staminali che rimangono come "sorgente di giovinezza". Per comprendere questo processo di ricambio basti pensare alla pelle: lo strato piu' superficiale viene continuamente eliminato e in profondita' c'e' un letto di staminali cutanee pronto a rifornire di nuove cellule la pelle. A un certo punto, pero', l'eta' avanza e compaiono le odiate rughe. Perche'? Quei brutti segni indicano che il ricambio cellulare non avviene piu' come dovrebbe e le staminali cutanee non producono piu' come in passato cellule della pelle nuove di zecca. Insomma, le staminali cutanee, e lo stesso avviene per gli altri organi del corpo, si sono impigrite, si dividono poco e sono ormai senescenti. Finora le basi di questo meccanismo erano sconosciute, ma si sapeva che esso e' funzionale ad evitare la formazione di tumori. Infatti, con gli anni e il susseguirsi di generazioni di cellule staminali, queste accumulano errori nel loro codice genetico e possono dar vita a un tumore. Un imperscrutabile equilibrio fa si' che cio' non avvenga mandando le staminali 'in pensione', ma il pegno da pagare e' che invecchiamo. Ebbene, gli scienziati hanno scoperto che detentore dello scettro di questo equilibrio e' proprio la proteina p16INK4a. In particolare, l'equipe di Janakiraman Krishnamurthy della UNC ha mostrato il ruolo di p16INK4a nelle cellule produttrici di insulina nel pancreas. Quando invecchiamo quest'organo non e' piu' efficace nel regolare la glicemia e in molti casi si sviluppa il diabete; gli esperti hanno scoperto che p16INK4a aumenta nelle staminali pancreatiche mettendole 'KO' e questo processo e' direttamente collegato all'efficienza del pancreas nel produrre insulina. Topolini transgenici senza p16INK4a, infatti, continuano anche da vecchi ad avere proliferazione delle cellule produttrici di insulina.
Nello studio di Sean Morrison del Michigan, invece, e' stato esaminato il ruolo di p16INK4a nella senescenza delle staminali neurali: anche in questo caso la molecola aumenta con l'eta' e la senescenza di queste staminali e' rallentata in topolini privi della proteina. Stessi risultati anche per le staminali emopoietiche, la fonte di ricambio per le cellule del sangue, studiate dal team di Harvard diretto da David Scadden.
Sembra chiaro, concludono gli esperti, che modulare l'aumento di p16INK4a negli anni potrebbe essere una delle strategie per rallentare il processo di invecchiamento, anche se la proteina p16INK4a non e' l'unico attore in gioco e il suo ruolo protettivo contro i tumori la rende indispensabile e, quindi, non eliminabile tout court.
(Cellule Staminali. #122, 15 settembre 2006)

Per approfondimenti:

Il Kenya, quella era la sua casa.


"Suor Leonella era ancora viva, sudava freddo. Ci siamo prese per mano, ci siamo guardate e, prima di spegnersi come una candelina, per tre volte mi ha ripetuto perdono. Perdono, perdono, perdono...Queste sono state le sue ultime parole"

Un dolore composto, un ricordo dolce e amaro nello stesso tempo, il ricordo di una donna che aveva dedicato all'Africa tutta la sua vita e che in Africa è andata a morire e per dedicarsi al prossimo.

Piange con compostezza Giuseppina Sgorbati, sorella di Rosa, la religiosa uccisa oggi a Mogadiscio. E nel suo appartamento, alla periferia di Milano, ricorda l'ultima volta che si erano sentite, al telefono, due giorni fa.
"Le ripetevo sempre 'stai attenta, stai attenta', quando passava a salutarmi a Milano o ogni volta che la sentivo al telefono".

Ora può ripetere soltanto che non tornerà più, neanche da morta. "Mia sorella non tornerà - dice Giuseppina - Lei voleva essere seppellita in Kenya, quella era la sua casa".

La missionaria, infatti, solo da quattro anni viveva in Somalia, dove insegnava in una scuola di infermieri professionali nell'Ospedale Sos di Mogadiscio. Per il resto quasi tutta la sua vita l'aveva spesa in Kenya.
"La chiamava spesso, però, - racconta Paolo Villa, figlio di Giuseppina e nipote della suora -. Mia madre l'aveva sentita appunto due giorni fa". E, come sempre, le aveva ripetuto di fare attenzione. Ma suor Leonella (questo il nome che Rosa Sgorbati aveva assunto quando era entrata nel 1963, a 23 anni, nel convento delle suore missionarie della Consolata) le aveva risposto con le parole che usava sempre: "Se dovrà succedere, succederà, altrimenti la pallottola mi passerà solo vicino".

Parole di chi sa di andare incontro a situazioni di estremo pericolo, ma allo stesso tempo parole decise, come era nel suo stile, a dimostrare una volontà tenace di portare a termine quelle opere di bene per aiutare i Paesi più poveri e difficili.

"Era una persona attenta, valida e capace, perfettamente conscia dei rischi a cui andava incontro - racconta il nipote di fronte alla casa di sua madre Giuseppina, nella zona est di Milano - I pericoli li sapeva gestire perchè aveva una caratteristica importantissima per chi fa il missionario, era dolcissima e gentile".

Negli ultimi anni Suor Leonella faceva avanti indietro tra il Kenya, dove era arrivata per la prima volta nel 1970 e che era ormai diventato il suo paese d'adozione, e la Somalia, dove l'aspettavano i suoi allievi infermieri. La Somalia, però, nei mesi scorsi le aveva negato i permessi per farla rientrare.
'Troppo pericoloso', le avevano anche detto.

"Ci aveva ripetuto più volte che Mogadiscio era una città a rischio per lei - spiega Paolo Villa - Il rischio, però, ci diceva, rientrava nella sua attività ".

A Natale la suora, originaria di Gazzola, in provincia di Piacenza, aveva trovato, comunque, il tempo per tornare in Italia e si era subito precipitata a Milano per riabbracciare la sorella Giuseppina.

Racconto dell'accaduto:
La Repubblica
Corriere Della Sera / sviluppi (Alberizzi, inviato a Mogadiscio)

domenica 17 settembre 2006

Un'altra Umanità

Il primo ritrovamento fossile dell'Uomo di Neandertal risale all'agosto del 1856, nella valle del Neander, in Germania.
Abitò l'Europa e parte dell'Asia centrale e occidentale, precedendo l'uomo moderno.
Comparso 300mila anni fa, non è un nostro antenato. Non è un sapiens arcaico, ma un altro uomo, che discende come noi dall'Homo erectus.

La ricercatrice Marylène Patou-Mathis, che da vent'anni studia l'uomo di Neandertal, ne è convinta e descrive un'inattesa "umanità neandertaliana": erano dei grandi cacciatori nomadi, mangiatori di carne, si coprivano con le pelli, controllavano il fuoco e avevano dei rituali funebri. Conoscevano il senso della vita e della morte, la tecnica e la metafisica. E a giudicare dalla loro laringe e dai loro lobi temporali forse parlavano. Ma se erano così evoluti perché si sono estinti? Per Patou-Mathis la tesi di una guerra con il nostro antenato di Cro-Magnon non regge.

Non tanto perché Neandertal era più forte e avrebbe vinto. Ma perché era pacifico: finora non è stato trovato alcun sito che testimoni di una guerra tra i due uomini, né uno in cui dei neandertaliani si uccidono tra loro (al contrario del sapiens). Neandertal ha ceduto alla pressione dei nostri antenati senza combattere, è fuggito verso nord e in diecimila anni è scomparso.


"La vera questione non è perché i Neandertal erano così divergenti ma perché la nostra specie ha portato così tante caratteristiche nuove".
- Erik Trinkaus, Washington University di St. Louis

Approfondimenti:

sabato 16 settembre 2006

Islam. Le scuse del Papa.

Il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona probabilmente si sarebbe meglio prestato ad una diffusione mediatica che partisse dalla forma scritta. Una dotta polemica contro il protestantesimo ed una difesa quasi impeccabile dell'ellenismo nel messaggio cristiano.

Un peccato di presunzione.
Il teologo ha voluto approfittare della platea concessa al Pontefice.
Il successore di Pietro e, quindi, di Cristo avrebbe dovuto rileggere una volta di più quanto destinato fino all'altro ieri alle pagine di un libro. Ad altre menti ma anche ad altri sbadigli.


Proteste prevedibili si sono alzate non solo dal mondo islamico.

Di seguito alcuni articoli che riassumono i fatti:

venerdì 15 settembre 2006

Oriana Fallaci (1929-2006)

«Ho sempre amato la vita.
Chi ama la vita non riesce mai ad adeguarsi, subire, farsi comandare. Chi ama la vita è sempre con il fucile alla finestra per difendere la vita… Un essere umano che si adegua, che subisce, che si fa comandare, non è un essere umano»

(da un’intervista del 1979, Luciano Simonelli)

«Non amo i messicani.
Se hai una pistola e ti dicono di scegliere chi è peggio tra i musulmani e i messicani avrei un attimo di esitazione; poi sceglierei i musulmani perché mi hanno scassato le palle
»
(da un’intervista del 2006, New Yorker)

Galleria Fotografica

giovedì 14 settembre 2006

O' Capitano: emblema della disfatta.

REAL MADRID
La stampa spagnola accusa
'Cannavaro emblema della disfatta'

"Il difensore e' stato l'immagine di un Real Madrid caotico ", questa l'analisi del quotidiano spagnolo As sulla sconfitta in Champions League del Real Madrid in casa del Lione

"Non ha funzionato nulla e quello che ha piu' sorpreso e' stata la nefasta partita di Fabio Cannavaro, coinvolto intutte le peggiori azioni, gol del Lione compresi".

"Il difensore e' stato l'immagine di un Real Madrid caotico ", questa l'analisi del sito del quotidiano spagnolo As sulla sconfitta di ieri del Real Madrid in casa del Lione. Un secco 0-2 che condanna la squadra di Capello, protagonista di una prestazione davvero deludente.

La stampa iberica punta il dito su Cannavaro ed in effetti la partita del capitano dei campioni del mondo e' stata da dimenticare. "Per lui una serata nera: lento, insicuro e confuso, Cannavaro e' stato l'immagine di questo Real Madrid disordinato, sconclusionato e caotico".

As non risparmia neanche Emerson ("esasperante la sua lentezza, ha perso tutte le battaglie in mezzo al campo e ha lasciato giocare Juninho") e Raul, ma ne ha anche per Cassano definito: "assente e disinteressato".

"Il Real - ha concluso As - ha giocato meglio quando sono entrati giocatori che giocano la palla con criterio: Guti, Reyes e Robinho. Adesso e' compito di Capello trovare una soluzione e rivedere l'11 titolare che ha scelto". (Il Resto Del Carlino)

Dopo le eccellenti prestazioni al Mondiale, sembra essersi riallineato agli standard consigliatigli dal signor Moggi quando lavorava per l'Inter.

Troppi salamini?
O nuovi consigli?

mercoledì 13 settembre 2006

Schiavi polacchi scomparsi nel nulla

Foggia. Puglia. Italia. Occidente.
119 cittadini polacchi impiegati nella raccolta dei pomodori non danno più notizie di sé. I caporali, loro connazionali, non parlano. I padroni, italiani semi analfabeti, spiegano con assurde parole delle strane morti.

Sono gli schiavi del nuovo millennio.
Retribuiti pochissimo e trattati peggio delle bestie. Che qualcuno fermi i colpevoli. Presto.

lunedì 11 settembre 2006

11 settembre 2001

Attentato alle Twin Towers

- 2749 morti ufficiali nelle due torri
- 343 morti tra i Vigili del Fuoco
- 3000 morti tra i soldati inviati in Medioriente
- 3000 morti/mese in Iraq

11 settembre 1973

Golpe militare in Cile
che portò Pinochet al potere fino al 1990.

In questi anni:
- Decine di migliaia di morti
- Centinaia di migliaia di torturati





La vera morte di un presidente
Nell'ora della della battaglia finale, con il paese alla mercé delle forze della sovversione, Salvador Allende continuó afferrato alla legalitá.
La contraddizione piú drammatica della sua vita fu quella di essere, contemporaneamente, nemico della violenza ed appassionato rivoluzionario, e credeva di averla risolta con l'ipotesi che le condizioni del Cile consentivano una evoluzione pacifica verso il socialismo, all'interno della legalitá borghese.
L'esperienza gli insegnó troppo tardi che non si puó cambiare un sistema dal governo, ma dal potere.
Questa tardiva constatazione forse fu la forza che lo spinse a resistere fino alla morte, tra le macerie fumanti di una casa che non era nemmeno sua, una residenza costruita da un architetto italiano destinata alla zecca dello Stato, e terminó convertita in un rifugio per un Presidente senza potere.
Resistette per sei ore, impugnando il mitra che gli aveva regalato Fidel Castro, fu la prima arma che Salvador Allende usó in vita sua.
Il giornalista Augusto Olivares che rimase al suo fianco sino alla fine, ricevette numerose ferite e morí dissanguato in un ambulatorio pubblico.
Verso le quattro del pomeriggio, il generale di divisione Javier Palacio, riuscí ad occupare il secondo piano, con il suo aiutante capitano Gallardo e un gruppo di ufficiali. Lí, tra le poltrone finto Luigi XV, il vasellame di dragoni cinesi e i quadri di Rugenda del salone rosso, Salvador Allende stava aspettandoli. Aveva un casco da minatore, stava in maniche di camicia, senza cravatta e con i vestiti macchiati di sangue. Impugnava il mitra.
Allende conosceva il generale Palacio. Pochi giorni prima aveva detto ad Augusto Olivares che quello era un uomo pericoloso, perché manteneva stretti contatti con l'ambasciata degli Stati Uniti. Come lo vide apparire dalla scalinata, Allende gridó: "Traditore!" e gli riuscí di ferirlo ad una mano.
Allende morí a seguito dello scambio di raffiche con questa pattuglia. Poi, tutti gli ufficiali, quasi seguendo un rito di casta, spararono sul suo corpo. Alla fine, un ufficiale lo sfiguró con il calcio di un fucile. Esiste una forografia: la scattó il fotografo Juan Enrique Lira, del giornale El Mercurio, l'unico autorizzato a fotografare il cadavere. Era tanto sfigurato che, alla signora Hortensia, sua moglie, mostrarono il corpo solo quando stava nella bara. E non permisero che scoprisse il volto.
Allende aveva compiuto 64 anni in luglio, era un Leone tipico: tenace, deciso e imprevedibile. Quel che pensa Allende lo sa solo Allende, mi disse una volta un suo ministro. Amava la vita, amava i fiori e i cani, era di modi galanti come si usava in altri tempi.
La sua maggiore virtú fu quella di essere conseguente, peró il destino gli riservó la rara e tragica grandezza di morire difendendo con le armi l'anacronistico diritto borghese; difendendo una Corte Suprema che lo aveva ripudiato e che poi legittimó i suoi assassini; difese un miserevole Parlamento che aveva contestato la sua legittimitá e che poi finí per arrendersi agli usurpatori; difendendo i partiti dell'opposizione che avevano giá venduto la loro anima al fascismo; difendendo tutti gli ammennicoli di un sistema tarlato che si era impegnato ad annichilire senza sparare una sola pallottola.
Il dramma accadde in Cile, per disgrazia dei cileni, peró passerá alla storia come qualcosa che irrimediabilmente coinvolse tutti gli uomini del tempo, destinato a rimanere per sempre nelle nostre vite.
- Gabriel Garcia Marquez

I Newyorkesi studiano Israele

Il Comune di New York approva un corso su Israele per educatori impegnati in 1400 scuole pubbliche.

Il corso, realizzato dal consolato israeliano a New York, è inteso, così ha detto il console Aryel Mekel,
«a formare attraverso gli insegnanti una generazione di leader educati a mantenere la relazione speciale tra Stati Uniti e Israele»

("New Yorkers to study about Israel", Yaniv Halili - Y Net News)

domenica 10 settembre 2006

La F1 non è uno sport. È soltanto un business

La Formula Uno non è uno sport. È soltanto un business.
Diceva qualche anno fa Flavio Briatore.

Un problema può succedere anche a noi ma non cambierà mai niente, le cose non cambiano mai. Una volata? Non c'è nessuna volata perché il mondiale è già assegnato. Alcune cose non dovevano succedere. Adesso saranno contenti. Calciopoli, a confronto, fa ridere.
Alla fine del GP di Monza, oggi.



Il «Tribüla» sa come vanno le cose al mondo.
Dal poker e lo chemin-de-fer alla formula Uno.
Dalle bische clandestine alle ville in Sardegna.
Donne bellissime, politici, nobiltà.
Non si fa mancare neppure qualche bomba.

Una vita vissuta ad alta velocità.

Forze armate prêt-à-porter

Si spendono milioni per ostentare navi speciali e super caccia. Mentre i pochi blindati hanno trent'anni. Ecco il documento riservato sui costi della missione

di Gianluca Di Feo


E se fossimo partiti con il piede sbagliato? E se nella fretta di arrivare primi con armi e bagagli a Tiro avessimo dimenticato la lezione di Nassiriya? Perché l'unico documento trapelato dal segreto che circonda la missione libanese apre la strada a più di una perplessità sulla gestione dell'operazione italiana. A partire dalla composizione del contingente. Finora abbiamo fatto arrivare in zona solo una ventina di blindati: i mezzi anfibi che hanno fatto da vedette nello show televisivo dello sbarco e una manciata di cingolati Vcc. Nessuno di questi veicoli è in grado di resistere ai razzi Rpg che pullulano nelle riserve di Hezbollah, ma anche nelle armerie delle fazioni libanesi minori.

Per il Vcc, poi, si tratta di un replay: in servizio da trent'anni, sono esattamente gli stessi che sbarcarono a Beirut con la spedizione del 1983. Non senza ironia, l'esercito li ha battezzati 'Camillino' perché ricordano un gelato in voga negli anni Settanta: biscotto all'esterno, panna dentro. Adesso per renderli un po' più protetti, al biscotto hanno incollato altre corazze, ma nessuno scommette sulla capacità di fermare i missili di Hezbollah: a Mogadiscio i razzi dei miliziani hanno dimostrato di bucarli senza problemi. E in 13 anni non si sono ancora trovati i fondi per rimpiazzare i Vcc dalla prima linea. Così mandiamo i soldati con i Camillino dal cuore di panna nelle colline dove le divisioni corazzate più potenti del pianeta hanno fallito. Diversa la linea dei francesi, che per prima cosa hanno spedito in Libano tutto quello che avevano di più pesante, a partire dai tredici carri armati Leclerc, mostri d'acciaio da 56 tonnellate. Invece noi ci presentiamo a sud del Litani con una avanguardia molto light, troppo leggera anche per una missione dalle intenzioni pacifiche: ci sono quasi più ambulanze che blindati.

La relazione tecnica di bilancio redatta dallo Stato maggiore evidenzia altri punti molto controversi. La questione centrale è quella della componente navale. Nei primi due mesi di Libano l'Italia spenderà 53 milioni di euro per la flotta e solo 30 per i militari impegnati a terra. Perché se l'indicazione del ministro Arturo Parisi era stata chiara ('boots not boats', ossia 'scarponi e non navi'), i vertici delle Forze armate hanno mischiato le carte in modo che lo schieramento privilegiasse la prova di forza della Marina. Anche accettando che, con un eccesso di cautela, la prima ondata venisse affidata alla parata della Garibaldi e delle altre tre mini-portaerei, non si capisce perché le navi da sbarco debbano rimanere fino a dicembre a largo di Tiro. L'unica spiegazione militare potrebbe essere quella di garantire un rapido ritorno a bordo del contingente: ma neanche i peggiori critici del governo ipotizzano uno scenario così nero.

Trasportare il contingente con le navi da sbarco, in gergo Lpd, costa un capitale: sono previsti circa 20 milioni di euro, tra spese vive e le indennità per gli equipaggi. Infatti i marinai imbarcati ricevono lo stesso straordinario dei marines impegnati a terra: 276 euro al giorno.

L'alternativa? Fare come in tutte le altre operazioni dell'ultimo decennio: noleggiare dei grandi traghetti dove caricare uomini e mezzi. Nelle stesse ore dello sbarco sulla spiaggia di Tiro, nel porto di Beirut è approdato uno di questi enormi mercantili con 81 veicoli pesanti e tutti i materiali del genio, che poi hanno percorso gli 80 chilometri di strada fino all'accampamento italiano. Il costo? Per ciascun viaggio 250 mila euro. Si stima che con dieci traghetti si potrebbe trasferire l'intero contingente: 2 milioni e mezzo contro i 20 preventivati. È chiaro: lo show ne perde, ma il risultato è più efficace ed economico.

Il bilancio stilato dai vertici militari segnala altre sorprese. Come gli elicotteri Mangusta, le cannoniere volanti che hanno un grande potere di dissuasione sui guerriglieri: in Libano ne porteremo quattro. In questo caso, non si ripeterà l'errore iracheno, quando questi velivoli vennero fatti intervenire solo dopo la morte di un maresciallo. Ma si prevede di farli arrivare a Tiro smontati: solo per scomporre, imballare e riassemblare questa squadriglia si spenderanno 3 milioni di euro. Domanda: non si poteva farli atterrare su una delle quattro portaerei e poi farli ridecollare sulla costa dei Fenici? In Somalia si fece così. E da allora si va ripetendo la necessità di abilitare i piloti dell'Esercito a operare sulle navi. Invece, 13 anni dopo ricompare il trasloco in scatola di montaggio, come i modellini di una volta, al costo di 6 miliardi di lire.

A dire la verità, di elicotteri il contingente ne avrà pochini: a dicembre saranno dieci in tutto. Quattro da combattimento, due da trasporto pesante e quattro medi. E pensare che proprio gli elicotteri dal 1978 a oggi hanno testimoniato la presenza italiana in Libano: equipaggi che hanno conquistato la stima della popolazione e delle fazioni in lotta. In compenso, adesso ci sono i potenti cacciabombardieri Harrier dell'aviazione di Marina. Mezzi temibili, ma che nessuno pensa sorvoleranno la terraferma: la risoluzione Onu non ne parla e gli spazi aerei ristrettissimi al confine tra Israele e Siria non si prestano alle acrobazie dei nostri marinai-piloti, considerati tra i migliori al mondo. La spesa? Fino a ottobre 1.656.000 euro.

Infine le mine. Kofi Annan in persona ha denunciato il rischio in cui vive tutta la regione: tra le trappole esplosive nascoste dagli Hezbollah e le granate delle cluster bombs israeliane ci sono 100 mila ordigni in giro. Ma nei primi due mesi i nostri soldati hanno a disposizione 300 mila euro per ripulire la zona dalla minaccia. Poco più della stessa somma che è stata stanziata per il vitto e l'alloggio dei 20 uomini che seguiranno il generale Fabrizio Castagnetti al Palazzo di Vetro: 240 mila euro per garantire una degna rappresentanza tricolore nella catena di comando a New York. Mentre le risorse per rendere sicure campi e strade sono addirittura pari alla carissima bolletta del satellite, altri 300 mila euro di comunicazioni.

La guerra alle mine, una delle necessità più urgenti per la popolazione, da novembre in poi riceverà un altro mezzo milione di euro. Senza che però i nostri genieri dispongano di mezzi moderni: siamo l'unica forza europea priva di apparati corazzati o teleguidati per questo compito. Ma la radice della questione è sempre la stessa: dal 1996 le missioni si sono accavallate una dietro l'altra, logorando gli arsenali senza mai trovare finanziamenti per ridare fiato alle dotazioni. Persino i programmi più importanti per garantire la sicurezza dei militari all'estero vengono rinviati in continuazione. L'ultimo capitolo riguarda le jeep a prova di mina: prodotte in Italia, sono state adottate da Londra, Oslo, Bruxelles e Berlino. Persino gli americani le stanno esaminando, per studiare sostituti alle loro Hummer. E Roma? I fondi sono centellinati, goccia dopo goccia: le jeep dovevano entrare in servizio nel 2004, invece finora ne sono state acquistate pochissime che servono per i test nei poligoni. Non sarebbe meglio risparmiare su altro e porre la sicurezza al primo posto? Il bilancio libanese è pieno di voci così criptiche da sfuggire persino all'interpretazione degli esperti: ci sono 800 mila euro per 'assetti Cis', l'ultimo nato degli acronimi bellici che forse indica 'Command information system', ossia un sistema informatico satellitare per le operazioni multinazionali. Un bel gadget tecnologico, del quale forse si potrebbe fare a meno. Mentre sul 'Camillino' rischiano la vita ragazzi nati dieci anno dopo l'entrata in servizio del blindato 'con il cuore di panna'

L' Espresso 8-9-06

sabato 9 settembre 2006

Bush ed il fallimento in Iraq

Raw Story questa settimana ha pubblicato una serie di rivelazioni dal nuovo libro Hubris: The Inside Story of Spin, Scandal, and the Selling of the Iraq War, scritto dal reporter investigativo del Newsweek Michael Isikoff e da David Corn, Washington editor del The Nation.

• President Bush was driven by a visceral hatred of Saddam Hussein, which he privately demonstrated in expletive-laden tirades against the Iraqi dictator. In May 2002--months before he asked Congress for authority to attack Saddam--Bush bluntly revealed his ultimate game plan in a candid moment with two aides. When told that reporter Helen Thomas was questioning the need to oust Saddam by force, Bush snapped: “Did you tell her I intend to kick his sorry mother fucking ass all over the Mideast?” In a meeting with congressional leaders, the President angrily thrust his middle finger inches in front of the face of Senator Tom Daschle to illustrate Saddam’s attitude toward the United States.

• When Bush was first briefed that no WMDs had been found in Iraq, he was totally unfazed and asked few questions. “I’m not sure I’ve spoken to anyone at that level who seemed less inquisitive,” the briefer told the authors.

• After the [Iraq] invasion [in March 2003], Dick Cheney’s aides desperately sifted through raw intelligence nuggets in search of any evidence that would justify the war. On one occasion they sent the WMD hunters in Iraq a satellite photo that they suspected showed a hiding place for WMDs. But it was only an overhead photo of a watering hole for cows.

• Many of the White House’s most dramatic claims about the threat posed by weapons of mass destruction were repeatedly questioned by senior members of the U.S. intelligence community-but these dissents and views were suppressed or ignored by the White House. Admiral Thomas Wilson, the director of the Defense Intelligence Agency until May 2002, is quoted in the book as casting doubt on virtually the entire White House case for an invasion of Iraq. “I didn’t really think [Iraq] had a nuclear program,” retired Admiral Wilson told the authors. “I didn’t think [Saddam and Iraq] were an immediate threat on WMD.”

• Congressional leaders on both sides of the aisle seriously doubted the case for war--and questioned the top-secret briefings they received directly from Cheney. One senior Republican, House Majority Leader
Dick Armey, warned the President in a September 2002 meeting that Bush would be stuck in a “quagmire” if he invaded Iraq. But Armey and others were afraid for political reasons to challenge the White House on the prewar intelligence.

Un nuovo sondaggio della CNN mostra come i Repubblicani siano già in difficoltà per le imminenti elezioni di novembre.

Il tricolore stretto al polso

La Juventus si tiene il tricolore stretto al polso. Giocatori e dirigenti del club bianconero, indossano un polsino nero con il simbolo della società e il tricolore, in occasione della trasferta contro il Rimini, prima gara del campionato di Serie B per la Juve. Patetici ed imbarazzanti per il calcio.


Rimini
-Juventus 1-1
Passata in vantaggio grazie a Paro al 15', non è riuscita poi a gestire il vantaggio, nemmeno quando nel Rimini è stato espulso Cristiano. La squadra di Acori si è gettata in avanti generosamente e ha raggiunto il pari col suo uomo migliore, l'italo-argentino Ricchiuti. Risultato giusto, per quello che si è visto in campo.

Il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me.
(Immanuel Kant)

Iraq ed al Qaeda. Solo bugie

Un nuovo rapporto della Commissione intelligence del Senato americano, che raccoglie due anni d'analisi sulle modalità con cui l'amministrazione Bush decise la guerra all'Iraq, smonta in via definitiva il castello accusatorio usato dalla Casa Bianca per giustificare l'intervento.

Saddam Hussein non aveva alcuna fiducia in Al Qaeda e considerava gli estremisti islamici come minacce al suo stesso regime, rifiutando tutte le richieste di aiuto materiale e operativo pervenutegli.

«Si tratta di una prova schiacciante dei tentativi ingannevoli, fuorvianti e mistificatori di manipolare le informazioni da parte dell'amministrazione Bush-Cheney.
Ancora il 21 agosto scorso il presidente Bush ha sostenuto l'esistenza di un legame tra Saddam e Zarqawi»
-Carl Levin, Senatore democratico

"Saddam wasn't going to attack us. He would've been isolated there. He would have been in control of that country but we wouldn't have depleted our resources preventing us from prosecuting a war on terror which is what this is all about."
Sen. John Rockefeller, D-W.Va.

Rockefeller went a step further. He says the world would be better off today if the United States had never invaded Iraq — even if it means Saddam Hussein would still be running Iraq.

Watch the Rockefeller interview.

Read the Senate committee report on information provided by the Iraqi National Congress. (211 pgs.)

Read the committee report on Iraq's alleged terror links. (151 pgs.)

venerdì 8 settembre 2006

Tabbouleh libanese
















Il Libano, così come i confinanti Siria e Giordania,
è il luogo dove si può trovare la migliore cucina araba:
prodotti eccezionalmente freschi trattati con mano leggera.

Il Tabbouleh è un antico piatto libanese le cui origini sono contese fra tutti i popoli nordafricani. Molte sono le ricette diversamente interpretate a seconda del periodo e dell’area di preparazione. Propongo quella che prevede il pomodoro.

Ingredienti
300 gr. di bourghul – sale - 6 pomodorini ciliegini - 1 cipolla bianca - 1 mazzetto di prezzemolo - 1 manciata di foglie di menta fresca - succo di 1 limone - 1⁄2 cucchiaino di semi di cumino pestati - 4 cucchiai d’olio d’oliva.

Preparazione

Sciacquate il bourghul, versatelo in una pentola, aggiungetevi 1⁄2 litro d’acqua bollente salata e lasciatelo gonfiare per circa mezz’ora dopo aver incoperchiato.
Nel frattempo pulite, lavate, asciugate e tagliate a cubetti i pomodorini, mondate ed affettate la cipolla a sottili fettine.
Quando il bourghul sarà adeguatamente gonfiato, versatelo in una terrina, mescolatevi i pomodorini e la cipolla, aggiungetevi le foglie di menta e prezzemolo tritate, il succo di limone, ed i semi di cumino.
Bagnate con l’olio d’oliva, mescolate nuovamente e poi lasciate il Tabbouleh al fresco per un’ora prima di servire.

*bourghul
grano pregermogliato, seccato e tritato, volgarmente detto “grano spezzato”.

Dewey Redman


I like to think of myself as an original.
I have my own sound. That's not easy to come by, I worked on it for many years. But I like to think that I sound like Dewey Redman”
–Dewey Redman

“What I reach for first when I play is sound.
Technique maybe, but there is technique in sound.”
–Dewey Redman

Dewey passed away on September 2nd at age 75 due to liver failure. Probably his music will finally receive the level of recognition it always deserved.
(Jazz Police)

lunedì 4 settembre 2006

Caro Cipe...

Caro Cipe,
non sono riuscito a dirti quello che volevo, per paura di farti capire che il tempo era inesorabile e la malattia terribile.
Scusami, ma credo che ti debba ringraziare soprattutto per la pazienza che hai sempre avuto con me.
Per i tuoi occhi che sorridevano, fino alla fine, ai miei entusiasmi o all’ironia con cui cercavo di superare insieme a te momenti difficili.
Pochi giorni fa, pochissimi, mi parlavi con un filo di voce - e con l’espressione di chi ti vuole bene - dell’Inter, proiettando il tuo pensiero in un futuro che andava oltre le nostre povere, ignoranti, possibilità umane.
Qualche mese fa ti chiedevo un po’ scherzando un po’ sul serio come mai non riuscivamo ad avere un arbitro amico, tanto da sentirci almeno una volta protetti, e tu, con uno sguardo fra il dolce e il severo, mi rispondesti che questa cosa non potevo chiedertela, non ne eri capace.
Fantastico. Non ne era capace la tua grande dignità, non ne era capace la tua naturale onestà, la sportività intatta dal primo giorno che entrasti nell’Inter, con Herrera che ti chiamò Cipelletti, sbagliandosi, e da allora, tutti noi ti chiamiamo Cipe. Dolce, intelligente, coraggioso, riservato, lontano da ogni reazione volgare.
Grazie ancora di aver onorato l’Inter, e con lei tutti noi.
- Massimo Moratti

domenica 3 settembre 2006

Firefox















Due cuccioli gemelli di panda minore
conosciuto anche come panda rosso o firefox.
Zoo di Chiba, Giappone.

sabato 2 settembre 2006

La grande scacchiera: la mossa del cavallo

La Russia in un paio di anni, senza colpo ferire, è stata capace di diventare il primo produttore ed esportatore mondiale di petrolio.

Ha appena superato l'Arabia Saudita, le cui riserve stanno calando.

In Europa, a breve, se ne sentiranno le conseguenze.

Forse anche la Juventus avrà il suo nuovo magnate.

Putin, accerchiato da Paesi messigli alle costole dagli USA,
ha stretto accordi con Algeria, Venezuela, repubbliche ex-sovietiche dell'Asia centrale, e Iran.

Una mossa paragonata da qualcuno a quella del cavallo nel
gioco degli scacchi.

Accordi così saldi da far parlare di un Anti-OPEC.
Grande commissionaria: la CINA.
E gli scambi si fanno in EURO.

Grazie alle guerre di Bush, ha estinto in questi giorni
tutti i debiti contratti con le banche europee da Eltsin.
Avrebbe dovuto terminare nel 2015 ma all'epoca il barile di petrolio
costava 13 $, oggi 73$.
Ripagare il debito rafforzerà l'autorità internazionale della Russia come Stato
22 miliardi di dollari sborsati sull'unghia.
I creditori internazionali non potranno più impicciarsi
dei fatti suoi.


Tra le europee, Germania e Norvegia non sono state a guardare.
Qualcosa ha fatto anche la Francia.

venerdì 1 settembre 2006

Io so


Io so. Ma non ho le prove.
Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale,
uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò
che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive,
di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace;
che coordina fatti anche lontani, che rimette
insieme i pezzi disorganizzati e frammentati in
un intero coerente quadro politico, che ristabilisce
la logica dove sembrano regnare
l'arbitrarietà, la follia e il mistero.

Pier Paolo Pasolini
(Da "Cos'è questo golpe? Io so")
Corriere Della Sera, 14 novembre 1974