domenica 30 ottobre 2011

"La Libia che ho conosciuto"


Traduzione di Marinella Correggia – per Georges Bourdoukan, ex-giornalista del "O Globo", San Paolo del Brasile
Dopo che Nelson Mandela fu liberato, andò subito in Libia per ringraziare, a nome del popolo sudafricano, per il sostegno di Gheddafi contro il regime dell’apartheid.

Sono stato in Libia nel settembre del 1979, in occasione del decimo anniversario della rivoluzione che aveva portato Gheddafi al potere.
Mi accompagnarono in quell’occasione il cameraman Luis Manse e l'operatore Nagra Nelson Belo. Eravamo lì per la Rete Globo di cui ero al tempo il direttore di San Paolo.

Prima sorpresa. L’hotel, dove il governo ci aveva mandato, era interamente occupato da diplomatici. Chiesi all’ambasciatore del Brasile il motivo di questa concentrazione. La risposta mi sorprese ancora di più.
“Nella Libia di Gheddafi gli affitti sono stati vietati.”

Ai libici che non avevano una propria casa era necessaria solo una richiesta e il governo provvedeva immediatamente alla sua costruzione.
Il paese era un enorme cantiere.

E ancora: Una legge, LA LEGGE DEL MATERASSO, stabiliva che ogni cittadino libico che sapesse dell’esistenza di una casa in affitto, gettando un materasso nel cortile di quella casa, ne acquisiva l’utilizzo.


Molte ambasciate avevano “sofferto” di questa legge da quando erano state occupate da cittadini libici.

L’ambasciatore mi spiegò che anche l’ambasciata brasiliana non era rimasta immune da questa legge.

Un autista libico che vi lavorano disse ad un amico che non aveva ancora una casa, che l’edificio dove era situata l’Ambasciata brasiliana, era in realtà affittata poiché apparteneva ad un italiano che era tornato in Italia dopo l’ascesa al potere di Gheddafi.

Immediatamente il suo amico gettò un materasso nel cortile sostenendone la proprietà.

Il governo libico dovette intervenire per evitare problemi ulteriori. Il Brasile finì per mantenere l’ambasciata, e il cittadino libico ottenne comunque una nuova casa.

Tutto questo accadeva negli anni ’70, quando la Libia era una potenza ricchissima, con solo 3 milioni di abitanti, su quasi 1,8 milioni di chilometri quadrati.

Ai libici, per legge, era vietato di lavorare alle dipendenze di stranieri.

Chi non fosse comunque disposto a lavorare riceveva un valore equivalente di oggi pari a circa 7.000 dollari al mese.

Inoltre, medico, ospedale e farmaci, era tutto gratis.

Nessuno pagava gli studi e chiunque voleva migliorare la propria formazione al di fuori del paese otteneva una consistente una borsa di studio.

Ho incontrato molti dei libici che utilizzarono questa possibilità in Francia, Italia, Spagna e Germania e in altri paesi dove sono stato come giornalista.



La bella Tripoli prima dell’invasione degli Stati Uniti e la NATO
Siamo a Tripoli, nel settembre del 1979.
Quella notte quasi non riuscivo a dormire.

Nell’ albergo, oltre a diplomatici e giornalisti ci sono anche delegazioni provenienti da paesi africani di lingua portoghese. Angola, Mozambico, Guinea-Bissau, Capo Verde, ecc.

Erano loro che non mi permettevano di prendere sonno in quanto, sapendo che avrei avuto un incontro con Gheddafi il giorno dopo, mi avevano chiesto ulteriori spiegazioni sul socialismo libico.

Mi dissero che non avevano mai visto niente di simile. Nemmeno nei libri.

Erano stupiti dalla legge del materasso (case per tutti), con assistenza medica, farmaci e istruzione tutto gratis.

E perché nessuno fosse costretto a lavorare (soprattutto per le compagnie straniere), in Libia si poteva continuare a ricevere un salario garantito “fantastico” secondo le parole di un angolano.

Promisi loro di cercare di ottenere una risposta dal momento che, infatti, avrei potuto parlare con Gheddafi, ma sapevo anche che era imprevedibile e spesso i giornalisti erano lasciati attendere all’infinito.

In primo luogo, volevo sapere perché le porte degli appartamenti dell’ hotel non avessero serrature.

Così tutti potevano entrare nella casa di tutti e infatti i nostri appartamenti furono continuamente “visitati”.

Chiesi al direttore dell’hotel la ragione per la mancanza di serrature.
Mi rispose che non c’erano i ladri in Libia come “durante la colonizzazione italiana e quindi le serrature potevano essere sacrificate”.

Ma un diplomatico mi aveva spiegato che la mancanza di serrature era per “consentire” agli agenti del governo di poter venire in qualsiasi momento del giorno e della notte per vedere se non ci fossero donne “invitate” negli appartamenti.

Secondo il diplomatico, i libici dicevano che fino ad allora, durante la colonizzazione italiana e il regno di re Idris, gli hotel erano serviti solo per le orge.

Il giorno dopo mi preparo per l’incontro con Gheddafi.
Manse, con la sua macchina fotografica e Belo, con il suo registratore, Nagra accanto a me aspettando l’ascensore.

Con una faccia assonnata, si era lamentato che i loro appartamenti erano stati “penetrati” tre volte fino all’alba ed era stato un bello spavento.

La vettura inviata dal governo era in attesa all’ingresso, ma Manse aveva voluto prendere un altro caffè.

Salii in macchina e aspettai.

Cinque minuti dopo Luis Manse, con la sua inseparabile macchina fotografica arrivò da solo. Chiesi di Belo e lui rispose che immaginava fosse già arrivato.
Chiesi all’uomo della nostra scorta se avesse visto il nostro compagno.
Lui si recò immediatamente al portiere a chiedere.
Un bel ragazzo rispose che aveva visto Belo accompagnato da due agenti in divisa sulla strada verso la piazza che era a circa cinquanta metri dall’Hotel.
Ero preoccupato, pensando al peggio.
Un giornalista accompagnato dalla polizia, in Brasile, non è mai stato di buon auspicio.


Gheddafi al lato del suo eterno idolo, il Presidente dell’Egitto, Nasser
Belo e due poliziotti erano in piedi accanto a una scintillante Mercedes Benz nuova.
Chiesi cosa stesse succedendo.
Un ufficiale mi rispose che il mio compagno non smetteva di indicare la chiave dell’auto inserita nel cruscotto. E non ne capivano il motivo, perchè Belo non parlava arabo né loro conoscevano la “brasiliana”.
Quindi era per questo che avevano lasciato l’hotel insieme.
Niente di cui preoccuparsi.
Belo mi spiegò il motivo e io lo tradussi alla polizia: nel vedere la chiave inserita nel cruscotto, era preoccupato che qualcuno avesse potuto rubare l’auto.

I due ufficiali cominciarono a ridere e dissero che era una macchina abbandonata. Era una consuetudine nel paese.

A chi non piaceva abbastanza la propria auto l’ abbandonava con la chiave all’interno. Così che un’altra persona poteva prenderla.

Questa era la Libia dell’epoca.
Nessuna povertà, un sacco di ricchezza e abbondanza per tutti.
Questo si poteva osservare anche nelle singole persone.
Gli anziani, che avevano vissuto sotto il dominio dei colonialisti e durante la monarchia, erano sofferenti, corpi asciutti e magri.
I bambini e i giovani apparivano sani e felici.

Giusto per darvi un’idea della Libia di allora, sotto Gheddafi, tutto costava più o meno l’equivalente di 3 dollari.

C’erano giganteschi supermercati, ma nulla era venduto al dettaglio.
Chi volesse il riso, per esempio, pagava 3 dollari per sacchi di 50 chili.
Tutto era su questa base.

Visitammo il parco industriale di Tripoli, e chiesi di vedere una industria tessile. Chiesi come fosse il rapporto con i clienti e un tecnico tedesco che era lì per costruire i telai, si mise a ridere.

“I libici sono pazzi” disse. Aggiunse: “qui non vendono niente al metro, vendono proprio tutto il pezzo di tela. Basta entrare in fabbrica e chiedere.
Chiesi il prezzo del pezzo di tela: 3 dollari un pezzo di 50 metri.
Ma se, per esempio, si voleva comprare una cravatta, il prezzo minimo di una singola cravatta era l’equivalente di 200 dollari. Una pipa, 300 dollari.

Cioè, ogni prodotto che ricordasse i coloni e, di conseguenza, rappresentasse o suggerisse il consumo superfluo, era fortemente tassato.

L’alcool, neanche da pensare. Arresto immediato.
Ed è quello che accadde a due giornalisti argentini, la cui “furbizia” li portò ad una nave ancorata al porto, per acquistare una cassa di whisky.
Uno dello staff dell’hotel annusò il loro fiato e li denunciò.
Certo, non furono arrestati perché erano ospiti del governo.
Ma non poterono intervistare nessuno, tanto meno il Gheddafi.

E sapemmo questo solo perché l’ambasciatore del Brasile, una figura simpaticissima, una notte ci invitò all’Ambasciata e là, ci offrì un whisky di non so quanti anni (custodito in una cassaforte), che Belo e Manse trovarono delizioso. Naturalmente bevvi anch’io un sorso, anche se odio il whisky.
Ricordo la marca, l’anno. Ho sempre ricordato il sapore di iodio.

Naturalmente non avremmo rifiutato la premura e il consiglio dell’ambasciatore. Non far schioccare la lingua perché sarebbe stato troppo evidente. Prima di lasciarci, l’ambasciatore ci diede un gallone di latte per ciascuno, perché il latte mascherasse l’alito del nostro respiro.

Sulla porta, chiesi all’ambasciatore se poteva darci una testimonianza.

“Gheddafi è un genio”, disse.
Sorpreso dell’espressione, chiesi.
“Lei considera il signor Gheddafi un genio?”
“Sì! Un genio!”.
“Quindi Lei pensa che Gheddafi sia un genio?”
“Sì! – rispose l’ambasciatore - Un genio! E domani lei ne avrà una prova.”
Non capii.

“Domani ci sarà una parata per celebrare il decimo anniversario della Rivoluzione. Assista e guardi bene se mi sbaglio.”

Il giorno dopo spuntò glorioso. Ed ero preoccupato.
Se il paese si fermava per commemorare il decimo anniversario della Rivoluzione Gheddafi avrebbe trovato il tempo per l’intervista?

Le persone affollavano la piazza e le strade dove si sarebbero svolte le sfilate.

Una cosa attirò la mia attenzione.
C’erano migliaia di ragazze in uniforme militare pronte per la parata.
Sorridevano di un sorriso che solo gli adolescenti hanno.
Impressionante la loro gioia.

Era così che Gheddafi aveva liberato le donne, che in precedenza non potevano uscire dalla porta di casa e nemmeno togliere quei vestiti che coprivano il loro corpo da cima a fondo, mi confidò l’ambasciatore.

“Non è un genio?”

Queste adolescenti uscivano di casa molto presto la mattina con la divisa militare e tornavano alle loro case nel corso della giornata. Solo loro non dormivano in caserma.

Ed avevano il permesso di non togliere mai la loro divisa.
Dopo il servizio militare non avrebbero mai potuto tornare a vestirsi come prima. Ecco perché le donne libiche si vestivano come le donne occidentali.

Ma a volte incontravamo anche donne in abiti tradizionali.

Dopo la sfilata, un funzionario del governo mi disse che Gheddafi non ci avrebbe più ricevuto a Tripoli, ma a Bengasi, la bella città del Mediterraneo.
E all’alba tentammo di percorre le 600 miglia che separano le due città.

Imparai, quel giorno, che l’elettricità che illumina il paese è gratis.
Nessuno riceve il conto della bolletta, sia di casa o del proprio negozio.

E coloro che hanno attitudine per gli affari, possono ottenere le risorse della banca dello Stato senza pagare un centesimo di interesse.

L’ampia distribuzione della ricchezza del paese alla sua popolazione, in nome dell’Islam, aveva creato un serio problema per altri paesi musulmani, in particolare con l’Arabia Saudita.

E da allora mai Gheddafi tenne in considerazione i leader sauditi che accusò di aver preso possesso di un Paese che non apparteneva loro e di essere “infedeli che avevano profanato il vero Islam”.

“Hanno scambiato il Profeta con il petrolio”.

Per la prima volta il Corano veniva utilizzato (da Gheddafi) contro coloro che si dicevano essere i suoi difensori e interpreti.
I sauditi, spalle al muro, potevano solo dire che era un “comunista”.
Gheddafi rispondeva che lui stava semplicemente seguendo il Corano alla lettera.

Diverse rivolte cominciarono a scoppiare in Arabia Saudita e nei paesi del Golfo.

Stati Uniti e media associati cominciarono a rimboccarsi le maniche.
Era necessario difendere il vassallo Arabia Saudita e trasformare Gheddafi in un paria.

Sulla via del ritorno in albergo, mi imbattei in rivoluzionari del Sud Africa che erano in Libia per cercare fondi per combattere l’apartheid.
Parliamo francamente.
Stavo cercando di realizzare un programma che difficilmente sarebbe stato messo in onda.

A quel tempo il “Globo Reporter” registrava un vasto pubblico, tra i 50 ei 65 anni, con un picco a 72. Inoltre, vivevamo sotto il tallone della dittatura.
Ma dal momento che eravamo lì, dovevamo utilizzare l’occasione e vedere poi come sarebbe andata.

Nella notte in albergo, qualcuno aprì la porta e mi chiese se potevo parlare un po'. Era il capo della delegazione della Guinea-Bissau ed era eccitato. “Mai immaginato di conoscere un paese come la Libia”.

Mi chiese come era stato il mio incontro con Gheddafi.
Risposi che l’incontro sarebbe stato il giorno dopo a Bengasi.
Mentre parlavamo, un “ufficiale” del governo entrò nella stanza e ci salutò con un sorriso. Una rapida occhiata e un sorriso da assistente di volo, ci ringraziò e se ne andò. Appena 10 minuti passarono e la porta si aprì di nuovo. Un giornalista di Rio de Janeiro, il mio vicino di stanza entrò disperato.

“Una Coca-Cola per amor di Dio! Il mio regno per una Coca-Cola! Sto andando giù in fondo, alla lobby, qualcuno deve dirmi dove posso acquistare in questo paese di maniche al vento, una coca cola!”

Non aspettò neanche l’ascensore. Si precipitò giù di corsa per le scale.
“E’ un pò matto il tuo vicino” mi confidò quello della della Guinea-Bissau. E poi ha anche offeso Shakespeare.

Poi mi rivelò di aver incontrato molti rivoluzionari provenienti da diversi paesi che si trovavano in Libia in cerca di risorse. Anche sudafricani.

“Hanno consegnato una lettera di Nelson Mandela a Gheddafi chiedendogli di non dimenticare i loro fratelli africani”, disse felice, il che implicava che erano rimasti soddisfatti.

Ancora una volta l’”ufficiale”, con il sorriso da assistente di volo entra sorridente. Questa volta per invitarci a scendere nel salone dell’hotel per vedere un film sugli “orrori” dell’epoca coloniale.

In realtà non si trattava di un film, ma di un documentario di 15 minuti e se l’idea era che il pubblico si indignasse, l’effetto fu l’opposto.

Il documentario mostrava le notti di Tripoli. Ragazze mezze nude, a piedi per le strade, alla ricerca di clienti, bordelli, cabaret, bevande alcoliche, e così via.

Peggio ancora, alla fine della proiezione, gli applausi da parte del pubblico, per lo più giornalisti, chiedendo il ritorno della colonizzazione.

“Quella sì che era una bella epoca” disse il giornalista di Rio, e il compagno di Minas Gerais aggiunse: “Questo papà che neanche la Coca-Cola ha”.

Alle quattro del mattino ci svegliammo. Da Tripoli direttamente all’aeroporto di Bengasi, dove finalmente andammo a intervistare Gheddafi.
“Sopravviverò al mio boia” – Omar Moukhtar, l’eroe nazionale della Libia, arrestato e picchiato dai colonialisti italiani.
Quando atterrammo a Bengasi, la bella Bengasi, le splendide spiagge erano ornate di palme.
Stavamo lì, come coqueiros, sulle spiagge del nord-est brasiliano.
Cogliendo e mangiando datteri dolcissimi.

Un giornalista svizzero che era arrivato a Bengasi una settimana prima, mi disse che non dovevo perdermi un matrimonio. Uno qualsiasi, disse.

Era rimasto veramente colpito dei festeggiamenti ma quello che lo aveva lasciato più impressionato era che gli sposi dopo la cerimonia, ricevevano una busta del governo con l’equivalente di 50.000 dollari come regalo per la futura famiglia.

Beh, questa era la Libia che poche persone conoscevano e che i media occidentali facevano di tutto per non far conoscere.

E non avrebbero potuto farlo. Come spiegare ai loro lettori che un giovane colonnello era salito al potere e che non aveva utilizzato la ricchezza per proprio beneficio? Al contrario. Che aveva condiviso la ricchezza con la popolazione del paese. Che non voleva vedere nessuno senza casa o con la fame, ignorante e senza molte altre cose.

Io, naturalmente, non avevo dubbi di concentrare la mia intervista proprio su questi punti.

Ma prima dell’intervista partecipammo a tre feste con musicisti provenienti da diversi paesi. E c’erano dolci. E c’erano succhi.

E neanche un “uisquinho”, si lamentarono alcuni giornalisti che sinceramente credo che fossero lì senza sapere perché e per che cosa.

Le feste si svolgevano nelle tende beduine, cosa che Gheddafi ha sempre apprezzato.

Finalmente faccia a faccia con Gheddafi.
Nella sua tenda. Sembrava stanco.

Alcuni degli argomenti trattati:

1- Socialismo libico
2- Istruzione
3- Riforma agraria
4- Casa
5- Movimento dei non allineati
6- Panarabismo
7- Socialismo cinese, sovietico, cubano
8- Appoggio ai movimenti rivoluzionari
9- Che Guevara
10- Stati Uniti
11- Brasile
12- Liberazione della donna
13- Reincarnazione di Omar Moukhtar


L’intervista, che avrebbe dovuto essere di 40 minuti, durò più di due ore e avremmo passato la notte conversando se non fosse stato continuamente sollecitato per altri impegni.

Naturalmente il Globo pensò bene che fosse meglio non pubblicarla e metterla in onda, perché avrebbe potuto offendere la dittatura.
Fu fatta una proposta per un programma di 15 minuti da mandare in onda su “Fantastico”.

Preparammo la riedizione, ma il programma sarebbe stato poi bandito dai censori ufficiali della dittatura (civil-militar-mediatica).

Tutta colpa della dittatura.
È vero?
Oh Dio! O Terrra! Quando ci libereremo di questo sistema marcio?



Qual è stato il grande errore di Gheddafi?
Non ho alcun dubbio. Ha ceduto (si è fidato) all’area euro-americana e ha rinunciato alla sua bomba atomica. I pacifisti mi perdonino. Non si tratta di incoraggiare la produzione di testate nucleari, ma di dissuasione.
Il Brasile che trovi il modo e cominci a costruire la sua.
In caso contrario, i media brasiliani stessi, associati con l’Impero, faranno di tutto perchè il paese sia invaso e occupato.

Gheddafi non è diventato ricco, come i produttori di petrolio del Golfo Persico.
Ha ripartito la ricchezza del paese con la popolazione.
Supportato tutti i movimenti rivoluzionari di sinistra nel mondo.

Anche i brasiliani.

In nessun momento ha dimenticato la popolazione nera dell’Africa.

Né il Sud Africa dove, in segno di gratitudine, un nipote di Nelson Mandela si chiama Gheddafi.

Quando Nelson Mandela divenne il primo presidente del Sud Africa nel 1994, l’allora Presidente USA Bill Clinton fece di tutto per fermare Mandela per la quasi quotidiana gratitudine a Gheddafi per il suo appoggio alla lotta dei rivoluzionari africani.

“Coloro che sono irritati della nostra amicizia con il Presidente Gheddafi possono fare un salto in piscina”, disse Mandela.

Il presidente Yoweri Museveni dell’Uganda ha detto che “qualunque siano stati i difetti di Gheddafi, è stato un vero nazionalista. Preferisco i nazionalisti ai burattini nelle mani di interessi stranieri”.

E ancora:

“Gheddafi ha dato un contributo importante alla Libia, all’Africa e al Terzo Mondo. Dobbiamo ricordare che, come parte di questo visione di indipendenza, ha cacciato le basi militari britanniche e statunitensi dalla Libia dopo la presa del potere”.

Inoltre, l’ex leader libico ha avuto un ruolo fondamentale nella formazione dell’Unione africana (UA).

Il coordinatore principale della guerra contro la Libia, Hillary Clinton è andata in Africa predicando apertamente l’omicidio di Muammar Gheddafi.
Siccome non c’è riuscita, ha cominciato a reclutare mercenari.

Sono stati proprio questi mercenari, tra cui gli squadroni della morte provenienti dalla Colombia, che hanno combattuto in Libia. E questi terroristi non sono stati ovviamente decimati dal Nord Atlantic Terrorist Organization (NATO) e dagli Stati Uniti.

Per chi ha voglia di fare qualche ricerca, quando Gheddafi nazionalizzò le compagnie petrolifere e le banche i media occidentali si riferivano a lui come il “Che Guevara arabo”.

Prima di essere deposto e linciato dai mercenari sotto il comando dei terroristi della NATO e degli Stati Uniti, la Libia aveva il più alto tasso di sviluppo umano in Africa, e comunque superiore a quella del Brasile.

In pochi sanno che nel 2007 ha inaugurato il più grande sistema di irrigazione del mondo. Ha trasformato il deserto (95% della Libia) in fattorie per la produzione di alimenti.

Cosi che quando salì al potere chi tra i libici voleva produrre cibo riceveva terra, attrezzature, sementi e 50.000 dollari per sopravvivere fino al primo raccolto.

Fu una riforma agraria totale e senza restrizioni.

Egli si è prodigato anche per la creazione degli Stati Uniti d’Africa (USA) a rivaleggiare con gli Stati Uniti (d’America) e con l’Unione europea.

Ha combattuto per unificare l’Africa: “Vogliamo truppe africane a difendere l’Africa. Vogliamo una moneta unica. Noi vogliamo un passaporto africano”.

Purtroppo dimenticò la bomba atomica. E ha pagato per questo.
Le nazioni che vogliono emanciparsi, dovranno rifletterci.

TRADUZIONE INTEGRALE dall’originale di Georges Bourdoukan su
http://blogdobourdoukan.blogspot.com/

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