domenica 6 novembre 2011

La mappa del rischio

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IL METEOROLOGO

Danni quasi inevitabili in condizioni così estreme
A cura di Luca Mercalli


I fenomeni di queste settimane sono davvero una novità? Segnano un cambiamento per l'Italia?
Su Genova venerdì sono caduti 400 mm di pioggia, in gran parte concentrati in quattro ore: una quantità straordinaria che tuttavia non è un record assoluto, si era già vista il 27 settembre 1992, o il 7-8 ottobre 1970, quando a Bolzaneto si misurarono 948 mm in 24 ore. Impressiona però la frequenza con cui episodi di questo tipo si manifestano. Sembra delinearsi una tendenza all’incremento delle piogge violente, probabile effetto del riscaldamento globale, situazione peraltro prospettata dai modelli di previsione climatica.

Le previsioni avevano annunciato giorni difficili per Piemonte e Liguria, ma sembra che non sia bastato. I fenomeni sono andati al di là delle previsioni?
No, i modelli numerici ad area limitata, che consentono di prevedere con 24-48 ore di anticipo fenomeni anche piuttosto localizzati, avevano correttamente segnalato l’elevata probabilità di violenti nubifragi proprio su Genova per venerdì, con apporti d’acqua anche superiori a 300 mm, come infatti si è verificato.
Ma allora cosa si poteva fare?
Quando tali quantità d’acqua si rovesciano in poche ore su una città come Genova, su cui convergono in tempi brevissimi le piene di numerosi torrenti appenninici intubati sotto asfalto ed edifici, gravi danni sono purtroppo quasi inevitabili.
Date le previsioni note da giorni, per attenuare l’impatto del nubifragio si sarebbero dovuti ridurre al minimo gli spostamenti sia in auto sia a piedi, e per quanto possibile rifugiarsi subito al sicuro ai primi segni di esondazione mettendo in pratica le più elementari norme di autoprotezione, come il non avventurarsi tra le acque e nei sottopassaggi allagati.
Gli abitanti lamentano però la scarsa pulizia degli alvei dei torrenti. Quanto conta questo elemento?
Sicuramente rimuovere il legname deposto dalle piene nei letti torrentizi può aiutare ad evitare situazioni critiche locali alle alluvioni successive, ad esempio la pericolosa ostruzione di ponti, ma non risolve il problema. Infatti, durante le piene, oltre ai tronchi già presenti da tempo in alveo, i torrenti spesso trascinano a valle altri alberi strappati alle sponde, e questo è un fenomeno che non si può evitare: non si possono abbattere tutti gli alberi che costeggiano i corsi d’acqua, che peraltro con le loro radici svolgono un benefico effetto stabilizzante sulle rive.
Però le montagne non sono più curate come una volta…
Anche questo è un luogo comune. Cent’anni fa il territorio montano era fittamente abitato, coltivato e manutenuto, situazione auspicabile per motivi paesaggistici, turistici ed economici, ma che nulla può contro le alluvioni. Non sono i meravigliosi sistemi di muretti a secco delle montagne liguri a contenere gli effetti di mezzo metro d’acqua che cade in poche ore… Anzi, laddove il territorio è stato abbandonato, è rapidamente ricresciuto il bosco, oggi molto più esteso di un secolo fa, che rallenta il ruscellamento delle acque e limita l’erosione dei suoli.
Due settimane fa ad Aulla l’acqua si è riversata come uno tsunami, facendo sospettare che siano state aperte le dighe a monte. È così?
Assolutamente no. Le dighe svolgono un’azione di contenimento delle acque di piena che altrimenti fluirebbero a valle, riducendone così i danni, e anche quando l’invaso è colmo il deflusso non è aumentato: tanta acqua entra, tanta esce dallo «sfioratore» appositamente progettato, come in una vasca da bagno. Anzi, anche in questa circostanza rimane l’effetto benefico di sedimentazione di detriti in arrivo da monte. Solo in caso di pericolo di crollo, vengono aperti gli scarichi di fondo, ma non è stato questo il caso.
In città però la pulizia dei tombini avrebbe aiutato.
Solo in parte. Occorre distinguere tra un normale temporale estivo, breve e poco intenso - le cui acque possono essere smaltite bene se la rete urbana di drenaggio viene mantenuta in efficienza - e un diluvio monsonico come quello di venerdì, per cui la rete di smaltimento risulta comunque sottodimensionata.
Cosa accadrà ora?
Piogge estese e intense persisteranno al Nord-Ovest oggi e in parte anche domani e martedì, mantenendo una generale situazione di crisi dei bacini idrografici, con probabili straripamenti specie lungo i tratti fluviali di pianura in Piemonte, mentre le alte valli alpine, dove sta nevicando sopra i 2200 metri circa, rimarranno più al riparo da criticità. È necessaria grande attenzione, poiché non mancheranno nuovi allagamenti e dissesti.


IL GEOLOGO
Le città si sono allargate e i letti dei fiumi ristretti
di Mario Tozzi

Era prevedibile quanto accaduto a Genova?
Sì. Le quantità d'acqua sono state eccezionali, ma non da record e c’era un’allerta grave della Protezione civile. C’erano poi i precedenti degli Anni 90. Ma soprattutto ci doveva essere la consapevolezza di un territorio chiaramente inadeguato a ricevere quantità di pioggia anche minori di quelle cadute. Fiumi intombati e «forzati» (il Ferreggiano costretto nello Sturla) non possono che esplodere come bombe sotterranee in quelle condizioni meteorologiche e non tenerne conto è colpevole come non fare alcunché.
Ma sono secoli che i liguri vivono in quelle condizioni.
È vero, ma la Genova di secoli fa era una città arroccata sulle alture e i suoi cinque corsi d’acqua liberi di scorrere a mare. Quando la città si allarga, non si tiene più conto del vincolo naturale, nell’illusione di poter controllare i fiumi con gli argini. Una volta Genova finiva al torrente Ferreggiano, che è stato sepolto per costruirci meglio sopra. Alle Cinque Terre si è sempre vissuto per scommessa: la natura ha consentito l’edificazione grazie al lavoro sfiancante di sistemazione continua e terrazzamento delle colline. Arrivato il benessere, la campagna è stata abbandonata e non ha retto l’impatto con l’alluvione istantanea. Non era la prima volta. Peggio ancora è andata per il Vara, il cui letto è passato dagli 820 metri del 1857 ai 370 del 1954 fino ai 140 del 2010: un letto che il fiume si è ripreso. E al Magra, cui è stato imposto un argine in cemento (nel 1959) consentendo così di costruire al riparo, ma sempre ben dentro il letto del fiume che, alla fine, lo ha fatto saltare. Non solo la pioggia è cambiata, sono cambiati i fiumi e le città.
Di chi sono le responsabilità delle alluvioni liguri e toscane?
Oltre alle quantità rilevanti di pioggia, che però non si possono considerare più eccezionali (dopo che addirittura il Senato della Repubblica lo ha fatto presente in una considerazione del 2005, in cui si accennava al cambiamento di regime) e alla costituzione geologica particolarmente attiva del nostro territorio, il resto è colpa nostra. Costruzioni, abusive e non, e infrastrutturazione selvaggia occupano in Italia circa 200 mila ettari l’anno (contro i 30 mila della Germania): in nessun Paese moderno e sviluppato si usa più cemento.
Cosa si può fare?
In emergenza debbono essere migliorate le comunicazioni fra Protezione civile, prefetture e tra amministratori e cittadini, magari utilizzando sms o social network.Ma a patto che gli amministratori prendano sul serio gli allerta e non protestino se, per fortuna, non tutti si risolvono poi in un’alluvione. Si può incitare a non scendere in strada, a salire ai piani alti e predisporre località per ubicare le autovetture in zone sicure, nel lungo periodo però le cose devono cambiare: la pianificazione ordinata e consapevole dei territori a rischio deve prendere il posto dell’inurbazione a macchia di leopardo. Divieto assoluto di costruire nelle zone a rischio e anche di ampliare le volumetrie secondo i famigerati piani-casa regionali, istituzione di parchi naturali, esclusione assoluta dei condoni, limitate opere di ingegneria naturalistica (dove veramente occorre) e rinaturalizzazione di torrenti e fiumi che debbono essere lasciati liberi di respirare e esondare in sicurezza a monte delle zone abitate. Non si tratta di un problema ingegneristico: lo spazio appartenente ai fiumi deve essere ipotecato solo per usi sostenibili.
È possibile convivere con la natura infuriata?
La natura non è né buona né cattiva, non esistono i fiumi killer e le frane assassine, e nemmeno le catastrofi naturali, ma solo gli eventi naturali che diventano catastrofici per colpa nostra. E la convivenza, in un mondo caldo e affollato, dipende solo dalla nostra capacità di fare un passo indietro dove le condizioni non permettono di vivere nel benessere cui siamo abituati.

(La Stampa, 6 novembre 2011)

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