domenica 27 novembre 2011
Il Codice Archimede: l'Infinito ritrovato
di Fabio Sindici
L’infinito ritrovato. Sono parole, linee, diagrammi sbiaditi, che affiorano dalla pergamena rovinata di un palinsesto. «Eppure, se si guarda al loro significato, emanano una luce profonda, quasi ipnotica» afferma Reviel Netz, professore di filosofia e studi classici all’università americana di Stanford. La luce è quella della mente di Archimede, il grande matematico e fisico vissuto nella Siracusa del III secolo avanti Cristo. Alle prese, qui, con l’idea d’infinito assoluto, fino a oggi considerata estranea alla geometria come alla filosofia greca.
Netz è uno degli studiosi che hanno lavorato al recupero e all’interpretazione del celebre «Codice di Archimede», depositato nel 1999 al Walters Art Museum di Baltimora da un anonimo collezionista che lo aveva acquistato l’anno prima a un’asta di Christie’s. Un team multi-disciplinare - in cui storici della matematica hanno collaborato con scienziati spaziali, esperti di conservazione libraria con filologi classici - ha esplorato il manoscritto per dodici anni. Il risultato di questa avventura intellettuale è stato allestito al Walters nella mostra «Lost & Found: The secrets of Archimedes» (Perduti e trovati: i segreti di Archimede, fino al 1° gennaio).
«È stato come aprire una scatola e trovare il cervello di Archimede» dice Will Noel, curatore del museo e autore, insieme con Netz, di The Archimedes Codex, libro che ripercorre la storia del manoscritto fino alle ultime scoperte. Perché le scoperte sono arrivate. Le figure geometriche, emerse sulla pergamena dopo una radiografia di raggi X sottilissimi, riformulano il concetto di infinito per gli antichi greci. Il documento contiene l’unica copia sopravvissuta del Trattato sul metodo dei teoremi meccanici. Che ora può essere letta (quasi) per intero. Archimede descrive gruppi di linee uguali che si prolungano, uguali nella moltitudine. E sottintende una nozione di infinito più sofisticata di quella della sua epoca. Per i pitagorici, era sinonimo d’incompiutezza e imperfezione. Per Anassimandro, l’ápeiron è il principio primo, ma indistinto, di tutte le cose. Aristotele nega realtà all’infinito, se non come pura negatività della materia. Il genio siracusano sembra il primo a dargli una connotazione positiva. «Bisogna distinguere: quello elaborato da Archimede nel Trattato è un concetto matematico e geometrico, non filosofico. Durante l’età ellenistica, i saperi erano specializzati, e la filosofia era meno intrecciata alla matematica rispetto all’epoca di Pitagora. Nonostante ciò, si può vedere una critica implicita ad Aristotele in questa opera di Archimede» ipotizza il professor Netz. Come in un paradosso di Zenone, attraversato dal brivido dell’horror infiniti, alcune parti del palinsesto si erano disperse in frammenti minuscoli, che rischiavano di sbriciolarsi in parti ancora più piccole ai tentativi di salvataggio. L’inchiostro è stato stabilizzato grazie a una soluzione gelatinosa e la pergamena è stata riparata con carta giapponese. Un lavoro estenuante. Ci sono voluti quattro anni solo per separare le singole pagine dalla rilegatura.
Nei fogli ci sono i resti di sette libri di Archimede, copiati e cancellati; sulla cartapecora erano state riscritte alcune preghiere in greco ortodosso. Il procedimento del palinsesto, appunto. Il codice ha avuto una storia travagliata. Intorno all’anno mille, un anonimo scriba di Costantinopoli copiò su pergamena i trattati di Archimede, due discorsi perduti del celebre oratore Iperide e altri testi non ancora del tutto decifrati. Nel 1229 il monaco Mirone, disperato per la mancanza di pergamena, dopo il sacco di Bisanzio da parte dei Crociati, cancellò, ritagliò e girò i fogli di 90 gradi, li piegò al centro, e trasformò i codici classici in un libro di orazioni. Il risultato è l’Euchologion, probabilmente compilato a Gerusalemme. «In realtà bisognerebbe ringraziare Mirone» spiega Noel. «Se il palinsesto non fosse stato usato con continuità non si sarebbe salvato». L’Euchologion venne conservato nel monastero di Mar Saba, dove fu notato prima dal bibliofilo - e ladro - Costantin von Tischendorf, che ne sottrasse almeno un foglio. Nel 1906 fu esaminato da Johan Heiberg, uno dei più acuti studiosi di Archimede, che riuscì a decifrare gran parte del testo originale. Ma Heiberg non aveva potuto leggere tutto. E aveva fatto poca attenzione ai diagrammi.
Quando il codice arrivò a Baltimora era il più brutto, e certo il più prezioso, dei libri conservati al Walters.
«Le sue condizioni erano terribili» ricorda Noel. Come se fosse stato masticato dal tempo. Ma il pensiero di
Archimede si muoveva ancora agile tra i frammenti e le preghiere. È stato ritrovato integro dopo vari passaggi di luce ultravioletta, campi magnetici, e, infine, dei raggi X dello Stanford Synchrotron, uno dei laboratori più avanzati del mondo. Così tecnologie d’avanguardia hanno permesso di recuperare teorie in anticipo sui tempi. Nello Stomachion, l’altro trattato arrivato a noi grazie al palinsesto, lo scopritore del principio della leva si diverte a usare procedimenti diversi per risolvere una sorta di puzzle. «Un gioco da ragazzi, un magnifico scherzo» dice Netz. «Solo che Archimede usa principi di calcolo combinatorio simili a quelli che utilizzano oggi i programmi dei computer». Archimede il precursore. Ma anche il salvatore. È
attraverso la sua fama che sono state ritrovate le arringhe di difesa di Iperide, colpevole di aver dato cattivi consigli agli ateniesi in guerra con i macedoni. La sua lingua non gli salvò la testa. Ma le parole dell’oratore sono le prime a giungere ai posteri senza mediazione. E confermano la sua fama.
La prossima sfida è la comprensione dei testi rimanenti, ora che i 174 fogli sono stati digitalizzati e il codice sta per tornare al collezionista. Quando nuovi caratteri emergeranno lenti dalle immagini del palinsesto, un altro studioso griderà, come il grande siracusano: «Eureka!», ho trovato. (La Stampa, 27 novembre, 2011)
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Che storia, quella dei manoscritti antichissimi, scritti e riscritti, grattati con lamette e pomice, e ora rileggibili interamente.
RispondiEliminaImmagino l'emozione dei tecnici, dei paleografi, dei filologi che hanno aiutato il Prof. Netz nella sua scoperta.
Bravo Zdenek. Queste sono notizie :)
Gigionaz,
RispondiEliminafiniremo con lo scoprire che stiamo vivendo una vita già vissuta da altri millenni fa, ma cancellata per mancanza di carta.
Chissà.