domenica 13 maggio 2012

Sbugiardati, ma anche no


Questa la prima pagina de Il Giornale.
Di seguito, invece, la versione di M. Travaglio.

Horroris causa
di Marco Travaglio
Il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso dichiara testualmente a La Zanzara: “Darei un premio speciale a Silvio Berlusconi e al suo governo per la lotta alla mafia. Ha introdotto leggi che ci han consentito in tre anni di sequestrare 40 miliardi di beni ai mafiosi”. Era dai tempi della candidatura di B. al Nobel per la Pace, iniziativa di alcuni zelanti parlamentari del Pdl, che non si rideva tanto. Dopo il premio Guido Carli “alla carriera” (niente male l’idea di consacrare un piduista a erede universale di un uomo che combatté la P2), il Cainano incassa e si appunta, honoris causa, la medaglietta “una vita contro la mafia”. Sulla data d’inizio del suo impegno antimafia si fronteggiano varie scuole di pensiero.
C’è chi sostiene che B. abbia cominciato a combattere Cosa Nostra nel 1974, quando (come ha appena confermato la Cassazione nella sentenza Dell’Utri) ricevette a Milano la visita dei boss Bontate, Teresi, Di Carlo e Cinà, portati in dote dall’amico Marcello per suggellare la promozione del mafioso Vittorio Mangano a fattore di Arcore.

C’è chi invece data il suo furore antimafioso al 1975, quando la mafia gli fece saltare la villa in via Rovani a Milano e lui non denunciò nulla ai carabinieri perché, confessò anni dopo, sapeva che l’attentato era opera dell’amico Mangano. Altri lo fanno coincidere con l’attentato nella stessa villa del 1986, quando al telefono con Dell’Utri parlò di “bomba gentile e affettuosa” e concluse: “Se Mangano me li chiedeva, io 10 milioni glieli davo”.
Altri infine fanno scattare la sua limpida coscienza antimafiosa da quando – scrive ancora la Cassazione – “pagò cospicue somme a Cosa Nostra” nell’ambito di “un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia per il tramite di Dell’Utri”, il tutto almeno fino al 1992, l’anno delle stragi. Poi c’è il B. premier, ventennale spina nel fianco di Cosa Nostra. Nel 1994 tuonò contro Caselli e i pentiti di mafia, in tandem con Riina (“ha ragione il presidente Belluscone”) e intimò alla Rai di piantarla con La Piovra che rovinava l’immagine dell’Italia e soprattutto della mafia nel mondo. Poi portò in Parlamento Dell’Utri e Cosentino. Promosse ministro Lunardi che voleva “convivere con la mafia”. Depenalizzò il falso in bilancio e varò tre scudi fiscali, regalando ai mafiosi l’anonimato e il rientro dei capitali sporchi in cambio ora del 2,5% ora del 5% di tasse invece del 45%: un riciclaggio di Stato in concorrenza sleale con gli onesti spalloni.
Consentì la vendita dei beni sequestrati, così i boss possono ricomprarseli tramite prestanomi. Disse: “Strozzerei con le mie mani gli scrittori che parlano
di mafia” (tipo Saviano e altri). Modificò l’art. 2 della normativa antimafia: se prima si potevano confiscare in base a “sufficienti indizi”, ora invece ci vuole la prova certa (difficilissima da trovare) che “risultino” provenienti da attività illegali. Infine, per salvarsi la coscienza, il ministro Alfano varò un brodino pomposamente chiamato “testo unico antimafia”, giudicato dagli operatori seri fumo negli occhi, che nulla aggiunge di sostanziale alla lotta alla mafia (né ai sequestri dei beni, che si facevano tali e quali anche prima). Forse Grasso si riferisce a quella cosa inutile quando propone addirittura il “premio speciale” antimafia per B. Nelle procure antimafia si ride di gusto. Ma le battute del super-procuratore non sono finite: “Ingroia fa politica utilizzando la sua funzione”, “ha sbagliato a parlare a un congresso di partito” e ora “deve scegliere ”. E altre ne seguiranno, annuncia Gasparri, che lancia “la prossima campagna elettorale” di Grasso. Naturalmente Ingroia è uno dei pm che indagano sulle trattative Stato-mafia, che quando Grasso era procuratore a Palermo erano tabù, e che coinvolsero anche la Banda B. Quindi la regola è questa: indagare su mafia e politica e parlarne a un congresso di partito è “fare politica”, fare un soffietto a B. e Alfano invece è fare giustizia.
E poi dicono che la satira è morta. (Il Fatto Quotidiano, 13 maggio 2012)


Aggiungo che Grasso fu nominato Procuratore nazionale antimafia al posto di Caselli, certamente più competente,  su forte volontà del Governo Berlusconi, come riassunto QUI.


Aggiornamento

Il capo della Dna chiarisce: «Non sono diventato pazzo. Non do premi a nessuno, figuriamoci a Berlusconi. È solo una frase sballata che non ho pronunciato e non sono stato rapido a smentire. Ho solo dato atto al governo Berlusconi di quelle norme, che con Giovanni Falcone attendevamo dal ’91. Ma, da anni, non gli ho mai risparmiato critiche sulla delegittimazione dei magistrati e sul non aver varato norme contro il riciclaggio, la corruzione, il
falso in bilancio, l’evasione fiscale e così via».


Aggiornamento

[...] Ciò che stupisce è che, per spiegare la sorprendente uscita di Grasso pro B. (sorprendente persino per B.), ci si concentri sul suo eventuale futuro anziché sul suo sicuro passato. Nel 2005 Grasso diventa superprocuratore nel concorso più controverso della storia giudiziaria italiana: quello bandito dal Csm nell’ottobre 2004 per sostituire Piero Luigi Vigna, che scade nel gennaio 2005. Candidati favoriti: Caselli, più anziano, e Grasso. Il 1° dicembre la Banda B. approva il nuovo ordinamento giudiziario Castelli, con due strani codicilli: uno proroga Vigna “sino al compimento dei 72 anni di età” (cioè fino al 1° agosto 2005); l’altro taglia fuori dagli incarichi direttivi i magistrati con più di 66 anni. Che senso hanno? La risposta è nella carta d’identità di Caselli, che compirà 66 anni il 9 maggio 2005. Se Vigna lascia alla scadenza naturale, Caselli non ha ancora 66 anni.
Se Vigna viene prorogato, Caselli è fuori gioco e l’altro pretendente, Grasso, ha partita vinta. Insomma i giochi per Grasso sembrano fatti. Ma il 16 dicembre Ciampi respinge la Castelli perché incostituzionale. Caselli rientra in partita. Ma la prospettiva che torni a occuparsi di mafia turba i sonni dei berluscones, noti partigiani antimafia. Così il 30 dicembre, mentre gli italiani preparano il cenone di Capodanno, il governo infila nel decreto Milleproroghe tre righe che prorogano Vigna, affogate in una giungla di norme sulla Croce Rossa, l’autotrasporto merci e gli spettacoli circensi.
Seconda norma ad personam, anzi contro Caselli.
Mille magistrati si appellano a Vigna perché si dimetta subito, impedendo al governo di interferire in una nomina che spetta solo al Csm. Ma Vigna non ci sente. Alla Camera però, in sede di conversione del decreto, le assenze nel centrodestra regalano all’opposizione un’occasione d’oro per approvare un
emendamento Ds che spazza via la norma-vergogna.
Ma Rifondazione si astiene e l’emendamento viene respinto: il solito soccorso rosso ai berluscones. Però per eliminare Caselli occorre approvare la Castelli-bis che impone il limite di età a 66 anni: una legge delega che va a rilento ed entrerà in vigore solo con i decreti attuativi. Intanto il Csm potrebbe nominare Caselli con le vecchie regole. Ma ecco pronto un emendamento di Luigi Bobbio, magistrato eletto in An, che prevede l’immediata entrata in vigore dei
nuovi limiti di età. “Certo – confessa spudorato Bobbio – l’emendamento serve a escludere Caselli: non merita la Superprocura”. È la terza norma anti-Caselli, ma soprattutto pro-Grasso. Viene approvata a fine luglio e firmata da Ciampi: Caselli è definitivamente fuori gioco. Il Csm denuncia l’incostituzionalità della norma, ma non può che ratificare la nomina del candidato superstite: Grasso,
primo procuratore della storia repubblicana nominato da un governo (e che governo). Lui però non ci pensa neppure a ritirarsi dal concorso truccato. Nel 2007 la Consulta dichiarerà incostituzionale la norma anti-Caselli. Tra i primi a
felicitarsene – con appena due anni di ritardo – sarà proprio Grasso: “Sono contento, è una legge che non ho condiviso”. L’ha semplicemente usata. All’epoca qualche ingenuo si domandò perché mai B. preferisse Grasso a Caselli? La risposta, forse, è appena arrivata. (M. Travaglio, Il Fatto Quotidiano 15 maggio 2012)

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