martedì 3 ottobre 2006

Afghanistan: la nascita del Jihadistan

Kabul non si è liberata dei talebani.
Nella provincia di Ghazni, a due ore dalla capitale, i corrispondenti del Newsweek si incontrano con un centinaio di loro. E' un gruppo la cui composizione varia dall'adolescente al 55enne, armati con AK e lanciagranate alimentate da razzi.
Il loro capo provinciale, Muhammad Sabir, sostiene di poter disporre di 900 combattenti e di nutrire una nuova fiducia nelle mutate condizioni militari e psicologiche.
"Ora ci possiamo radunare alla luce del giorno. La gente sa che stiamo ritornando al potere".

I Signori della Guerra, foraggiati dai proventi del narco traffico, controllano le aree rurali e godono sempre più del consenso della popolazione disillusa da quanto fatto finora da Karzai e dalla comunità internazionale.
I finanziamenti sono finiti ad alimentare la corruzione del Governo.
Lontano da Kabul, soprattutto nella zona lungo il confine con il Pakistan, le tribù Pashtun stanno ricreando le condizioni di cui raccontava Kipling nell'800.
Quella zona può essere chiamata "Jihadistan" e i suoi militanti guadagnano il doppio delle milizie nazionali.

In realtà, in Afghanistan si è investito pochissimo.
Le cifre impegnate sono riportate dal Newsweek e confrontate con quelle molto più consistenti di Bosnia, Kosovo, Timor Est.

Mancano le infrastrutture, un governo ed un sistema giudiziario efficienti.
"Where the roads end, the Taliban begin."
(Gen. Karl Eikenberry)

La situazione è sfuggita di mano.
Gli inglesi l'hanno ammesso già da tempo.
A questi si sono aggiunti i tedeschi che, per bocca del loro ambasciatore Hans-Ulrich Seidt, affermano:
"potrebbe accadere che il governo afgano perda completamente la padronanza degli eventi nei prossimi 12-18 mesi, i soldati della Nato non riusciranno mai ad assumere il controllo del sud dell'Afghanistan."

Per questo il ministro della Difesa tedesco Franz Josef Jung ha auspicato che la strategia della Nato in Afghanistan subisca un cambiamento radicale e si focalizzi sulla «sicurezza e la ricostruzione». «Le persone devono rendersi conto che non siamo forze di occupazione ma piuttosto che siamo lì per aiutarli».

In Italia?
Oggi, 3 ottobre, l'Ulivo si riunisce per affrontare il tema.
D'Alema potrebbe ritrovarsi, a breve, a dover bombardare di nuovo.

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